di Vittorio Lussana #Giustappunto twitter@gaiaitaliacomlo #Politica
Qualche giorno fa si è tenuto un raduno di nostalgici del ventennio fascista in quel di Predappio, per il 96esimo anniversario della marcia su Roma. Anche allora, nel 1922, si trattò di qualcosa del genere: un’adunata di contadini, piccoli proprietari terrieri e reduci della prima guerra mondiale ‘spacciata’ a lungo come una rivoluzione. Una rivoluzione fatta in accordo con il Re e con i Carabinieri, mentre Mussolini veniva nominato presidente del Consiglio di un governo di coalizione, sostenuto persino dal Partito popolare. Ma questo poco importa: anche il fascismo ha fatto parte della nostra Storia e non possiamo rimuoverlo come una parentesi capitata per caso. Al contrario, l’errore di voltare il nostro sguardo da un’altra parte di fronte a manifestazioni del genere ci fa correre il rischio di moltiplicare il numero di certi giovani convinti che “i libri di Storia non li leggo perché raccontano solamente ‘cavolate’…”. Invece, le pagine di Storia, anche quelle relative al fascismo, vanno lette con grande considerazione, poiché non si tratta di una serie di nozioni da mandare a memoria, ma di un nostro patrimonio comune all’interno del quale ‘scavare’ alla ricerca di una verità che non sia acritica, o da assumere come una suggestione mistica, in cui apprendere solamente quel che ci piace. Le pagine di Storia sono piene di fatti poco piacevoli: non ci sono solamente quelle relative al ventennio ‘mussoliniano’. A certi gruppi di nostalgici, certamente non piace dover leggere che lo stesso Mussolini detestava i fascisti e che si servì di loro come mezzo di pressione politica e di consenso personale. Benito Mussolini, da buon socialista, aveva in mente una visione assolutamente corretta della situazione in cui versava l’Italia alla fine della prima guerra mondiale: un Paese in cui era necessario mettere ordine. Inoltre, nei decenni che avevano preceduto la sua svolta autoritaria, Mussolini si era dimostrato un ottimo giornalista, tra i migliori che l’Italia abbia mai avuto. Insomma, tra le pagine della nostra Storia esiste un Mussolini che, bisogna ammetterlo, seppe rimettere molte cose al loro posto. Ma sono esistiti anche altri Mussolini: quello del 3 gennaio del 1925, che si assunse la responsabilità politica dell’omicidio di Giacomo Matteotti; quello retorico e ‘buffonesco’, convinto di poter tornare alle antiche glorie di Roma; quello ‘paternalista’, che blandiva il popolo al fine di rassicurarlo; quello espansionista e imperialista, che persino Italo Balbo aveva definito: “La caricatura di se stesso”; quello invecchiato e stanco della Repubblica di Salò. Dobbiamo imparare ad accettare, razionalmente e umanamente, tutto quel che è accaduto nella Storia del nostro Paese, compreso il fascismo. E dobbiamo farlo proprio quando riteniamo che l’Italia meriti di più dalla Storia stessa; quando pensiamo che il nostro non sia un popolo di ‘tardo-decadenti’; quando desideriamo dimostrare di essere una nazione vivente. Del fascismo, dobbiamo avere il coraggio di vederne anche i meriti: un corporativismo giuridico che oggi appare invecchiato, ma che negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso servì perfettamente allo scopo di riorganizzare decentemente lo Stato; il tentativo di ricostruire un filo di collegamento secolare degli italiani grazie allo sforzo speculativo di Giovanni Gentile e della sua Enciclopedia Treccani, elaborata insieme a studiosi che non erano affatto fascisti, come gli storici Armando Saitta e Delio Cantimori, letterati come Gaetano De De Sanctis ed economisti come Luigi Einaudi; una valorizzazione meritocratica delle professionalità migliori in quasi tutti i campi della nostra vita pubblica, sia che si trattasse di fedeli alla causa fascista, sia che non lo fossero; una visione urbanistica e architettonica ‘neo-classica’ assai meno fredda di quella ‘hitleriana’, proiettata verso uno sviluppo che qualcuno era riuscito, seppur vagamente, a intuire; una visione ‘interna’ che ha saputo tenere in considerazione alcune istanze socialiste, come l’esigenza di un minimo di welfare per i ceti meno abbienti. Insomma, bisognerebbe cominciare a tirare alcune somme, dopo quasi un secolo di divisioni e steccati ideologici, per riuscire a ottenere un ‘quadro’ il più possibile obiettivo ed equilibrato del ventennio fascista, al fine di disinnescare certe visioni apologetiche che tendono a saltare la Storia a piè pari, riproducendo nuove e ulteriori contraddizioni. Come si fa a giudicare negativamente i nostri manuali di Storia se ci si rifiuta persino di leggerli, di analizzarli, di rovistarli a fondo? Se si vuol fare un salto in avanti per giungere finalmente verso una sincera ‘pacificazione nazionale’, basata su valori condivisi, dobbiamo dimostrare il coraggio di andare a ‘tagliare l’erba sotto ai piedi’ a chi se ne va in giro con una maglietta volgarmente antisemita, tesa a banalizzare l’olocausto e i campi di concentramento. Perché è proprio la banalizzazione della Storia, ciò che permette di negarne l’esistenza; che consente a certi nostri giovani di metterla da parte come fosse un qualcosa di noioso o poco utile; che impedisce di ricordare quanto accaduto veramente nel bene e nel male; che cancella la nostra memoria collettiva e la nostra più autentica coscienza di italiani.
(1 novembre 2018)
©gaiaitalia.com 2018 – diritti riservati, riproduzione vietata
Iscrivetevi alla nostra newsletter (saremo molto rispettosi, non più di due invii al mese)