di Gaiaitalia.com, #Milano
Materia ed energia sono trasformabili una nell’altra. Ogni materiale od oggetto può essere impiegato nella creazione di un’opera d’arte, ma ciò che realmente conta, in fondo, è il modo in cui viene inserito in essa dalla mente dell’artista: il processo creativo.
Dopotutto, abbiamo a che fare con l’arte contemporanea, con l’arte del materiale al servizio del concetto. Proprietà della materia: massa, volume, densità.
La nuova e inedita produzione dell’artista Mariella Ghirardani, allieva dello scultore giapponese Hidetoshi Nagasawa e del critico d’arte Jole De Sanna, nasce da un dono (atto della dona-azione / azione nel dono): il Perlux cod. 8300 con finitura all’acqua, dotato di particolari riflessi, tipici delle perle naturali, che creano giochi di luce, fogli termici di grafene trasparente e graphene copper.
Mariella Ghirardani opera scientificamente – svelamento delle proprietà – per poi realizzare alchemicamente, allontanandosi dalla sostanza fisica della materia per esplorare l’universo evocativo nelle cose. Il suo è un connubio molto intimo e dialettico che, nel suo caso, non diventa manufatto (merce) ma ALTRO.
Nella scultura fatta pittura di Mariella Ghirardani, la prudente geometria dello spiraglio “non contiene l’irruzione del fantasma cognitivo ma l’avvento dell’assenza” nel rapporto tra visibile e invisibile, interiore e interno, arte e natura.
In tal modo l’artista si procura e nello stesso tempo pratica l’allontanamento da ogni incontro, la riduzione del reale al puro ingombro, al meccanico movimento dell’aprire e chiudere la porta.
Aprendo e chiudendo la porta dell’attimo con la non percettibilità di ciò che è interno.
Così le sue opere Oceano luce, Lost horizon, Thermal Release, Graphene–Copper, Minimal blu, tutte del 2017, diventano “il risarcimento di un’attesa, nel miraggio di un incontro”.
E dunque, attraverso un vero e proprio rovesciamento dell’approccio scientifico tradizionale e della stessa logica produttiva, il materiale per la Ghirardani non è più solo l’esito di una ricerca finalizzata a migliorare le sue prestazioni tecniche e funzionali, ma è esso stesso “materia d’invenzione”.
Rendere visibili forme non è una necessità per l’artista che, come Luis Buñuel con il disincantato taglio di un occhio nel film surrealista “Un Chien Andalou”, ci mette in guardia dalla potenza e dai limiti dello sguardo. Con un poetico gesto grafico, lo spettatore, accecato, dovrà fare affidamento su altri sensi, o meglio su altre sensazioni per fruire l’immaginario. L’invisibile è la promessa di altro da vedere.
In questo felice e difficile ménage à deux s’insinua il terzo – leggi gallerista –, che da forcluso incita allo show, parodia del visibile.
L’obbligo di esposizione che consegna tutto alla visibilità porta l’aura, come “apparizione di una distanza”, a sparire completamente. Il valore di esposizione si fonda unicamente sul fatto di produrre interesse.
“La società esposta è una società pornografica. Tutto è rivolto all’esterno, svelato, denudato, svestito ed esposto. L’eccesso di esposizione fa di ogni cosa un prodotto, che è votato, nudo, senza segreto, al divoramento immediato […] L’imperativo dell’esposizione conduce a un’assolutizzazione del visibile e dell’esteriore. L’invisibile non esiste, perché non produce alcun valore di esposizione, alcun interesse”.
Il progetto espositivo si arricchirà di un testo critico ad opera di Rosella Ghezzi
La galleria milanese AMY D Arte Spazio, con la piattaforma economART, è impegnata attivamente da diversi anni nella sperimentazione di nanomateriali atossici e sostenibili, grazie alla collaborazione con vari Istituti di Ricerca quali: Politecnico di Milano, Unisa di Salerno, Smart Materials dell’I.I.T. di Genova, Università degli Studi “Tor Vergata” di Roma e vari partners tecnici come AMA S.p.A, Caparol, Gonzini.
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(13 ottobre 2017)
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