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Perché dico “Vizça Catalunya”

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Barcellona: manifestazione contro l’Indipendenza. Foto: El País

di Il Capo, twitter@gaiaitaliacom

 

Sono molte le ragioni per le quali tifo, per molti irragionevolmente, affinché la Catalogna vinca la sua battaglia con Madrid. Prima di tutto perché conosco la Spagna, conosco la Catalogna, avendo passato una buona parte della mia vita proprio in quel paese. Soprattutto conosco l’atteggiamento vetero-fascista che l’attuale premier Mariano Rajoy ed il suo Partido Popular, veri eredi del peggior franchismo moderno velato da una sottile cappa d’ipocrita cattolicesimo torquemadista, hanno tenuto da quando hanno preso il potere subito dopo Zapatero e sono riusciti nella straordinaria impresa di non fare nulla, raccontando di fare molto. Mariano Rajoy ha sempre vissuto la Catalogna come una spina nel fianco, disattendendo vieppiù gli accordi con la Generalitat e rifiutandosi, in nome di un autoritarismo imbecille e cieco, di discutere con i Catalani alla pari. Tutti i governi precedenti, addirittura quello di Aznar, hanno sempre trattato con la Catalogna e sempre hanno cercato di trovare soluzioni che concedessero ampi margini di autogoverno alla Generalitat senza recidere il cordone ombellicale con Madrid. Quindi sono cominciati gli errori.

Barcellona e la Catalogna non sono solo il motore economico di Spagna: sono un popolo che da decenni, secoli oserei dire, rivendica uno statuto d’indipendenza che gli è sempre stato rifiutato e sotto il giogo di Francisco Franco, del quale i metodi squadristi utilizzati da Mariano Rajoy nelle ultime settimane sono diretti eredi, la regione ed i loro abitanti sono stati forzosamente castiglianizzati in onore ad un delirio franchista che vedeva nella purezza castigliana l’unica vita possibile dentro la Spagna dominata da Madrid e dal suo Caudillo. Addirittura il Catalano, lingua meravigliosa, venne proibito. Loro, i Catalani, se lo insegnavano nelle cantine in scuole improvvisate.

Il cordone ombelicale con la capitale spagnola non serve solo alla Catalogna, diremmo al contrario che il nutrimento che scorre al suo interno sale verso Madrid piuttosto che scendere verso Barcellona. L’impatto economico della dichiarazione d’indipendenza dalla Spagna potrebbe essere per Madrid pari ad una dichiarazione d’indipendenza contemporanea di Lombardia, Veneto ed Emilia Romaga, con le dovute proporzioni, avendo l’Italia una quindicina di milioni di abitanti in più. Il costo politico è quasi inesistente: la Catalogna è governata da sempre dai partiti che in Catalogna nascono e in Catalano si esprimono. Anche l’ex potentissimo PSOE aveva a Barcellona una sua succursale catalana. Dicono che gli Indipendentisti sono una minoranza, ed è anche possibile che sia così, ma non è del tutto vero. Molti di coloro che si dichiarano non d’accordo con la dichiarazione d’indipendenza discutono il metodo e non il fatto che la Catalogna debba per forza rimanere all’interno di un matrimonio forzato con Madrid.

C’è poi una differenza che può apparire di quasi nessuna importanza tra la Catalogna e il resto della Spagna: in Catalogna si produce e si lavora. Al contrario che nel resto del Regno, e mi fermo qui, perché ci sono cose (la mancanza di professionalità, la cialtroneria, la poca cultura del lavoro, l’inesistente creatività, l’inesistente specializzazione) che vanno vissute ché raccontate suonano solo come pregiudizi.

Mariano Rajoy ha perso la partita. L’ha persa anche qualora l’indipendenza della Catalogna non diventasse realtà. L’ha persa perché è stato costretto a tirare fuori la sua anima profondamente fascista. La sua intolleranza e la sua profonda fascinazione per il potere come potere. Anche se brutale, poco importa. Ha perso perché non ha saputo rispondere democraticamente a chi reclama la libertà di autodeterminarsi sulla base di un’appartenenza linguistica e culturale che non è quella castigliana. Ha perso perché non ha saputo trovare una soluzione pacifica, ma sta cercando di imporsi sulla base di un’idea di stato che nei fatti non esiste più.

La politica catalana non è esente da responsabilità: la più grave è quella di avere messo in contrapposizione violenta – una leggenda che gli spagnoli siano pacifici – due popoli e due culture che non si amano eccessivamente e che avrebbero dovuto giungere ad un’eventuale separazione dei loro destini in modo differente. Repubblica Ceca e Slovacchia sarebbero dovute essere prese ad esempio. Ma la questione parte da lontano: nel 2010 l’Alta Corte spagnola eliminò 14 articoli del nuovo statuto autonomico, eliminò il termine “nazione” contenuto nel preambolo, reinterpretò altri 27 articoli e tolse valore giuridico alla parola “nazione” andando contro la decisione presa dai Catalani in un referendum di quattro anni prima. Ultima di una serie di promesse non mantenute che erano cominciate con una dichiarazione di José Luis Rodríguez Zapatero, che ancora non era Primo Ministro, durante un incontro al Palau Sant Jordi nel novembre del 2003: “Appoggierò la riforma dello Statuto che approverà il Parlamento catalano”. Dichiarazione alla quale non seguì nessuna azione coerente, anzi, molte delle decisioni successive andarono nella direzione opposta. In quel momento, e forse anche un po’ prima, finì la storia del Partito Socialista Catalano e Zapatero fu sempre più attaccabile.

La questione che Barcellona si trova ad affrontare oggi parte un po’ anche da lì. Madrid da parte sua fa quello che ha sempre fatto: mostra i muscoli. Esageratamente questa volta: polizia, commissariamenti, incursioni, divieti, arresti, minacce. Rajoy si conferma un incapace nostalgico incapace di percepire i cambiamenti della società. I socialisti prima, durante e dopo Zapatero gli hanno dato una mano. E’ sempre stato dalla Moncloa che arrivava il non rispetto dei patti con l’autonomia catalana. Non il contrario. Ed è stato il Partido Popular a ricorrere all’Alta Corte per invalidare parte dello Statuto catalano del 2006. E’ ancora il Partido Popular a vietare il referendum.

Cosa pensa di fare per vietare l’indipendenza? Sparare per le strade?

Per questo dico: ¡Vizça Catalunya!





(30 settembre 2017)

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