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Secondo “Repubblica” le Unioni Civili sono un flop: perché contano i numeri e non i diritti

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foto ANSA/ MASSIMO PERCOSSI

di Daniele Santi

 

 

 

 

I giornalisti seri, quelli che scrivono su Repubblica ed altri grandi quotidiani le loro necessarie [sic] opinioni, sono riusciti in un altro capolavoro, dimostrando che il loro gusto per la polemica gratis e per i numeri che contano più dei diritti, come se fossero copie cartacee di giornali che perdono lettori ogni giorno, è di gran lunga superiore alla loro obiettività.

Il titolo di Repubblica del 7 maggio che parla di flop per le Unioni Civili è la conferma della profonda omofobia che ancora è segno distintivo di gran parte degli italianetti che popolano questa Italietta: per la giornalista autrice dell’articolo la legge sulle Unioni Civili è un flop perché a quasi un anno dalla sua approvazione, ma ad 8 mesi dall’emanazione del regolamento d’applicazione e atre mesi dall’ultimo “aggiustamento” che ha reso la legge compatibile con le altre leggi dello Stato, le coppie che si sono unite civilmente sono state “solo” 2.802. La cifra, l’articolo in questione ne è una prova, conta più che il fatto semplice ed eclatante che queste 2.802 persone hanno potuto godere di un diritto che prima non avevano.

Per Repubblica non conta il fatto che la coppia omosessuale sia ancora duramente discriminata, che nella grande maggioranza dei casi si debbano avere feroci opposizioni da famiglie, amici [sic] e datori di lavoro, che la caccia al gay sia ancora uno sport praticato e che certa stampa voglia colpire attraverso il racconto di presunti flop il governo che quella legge l’ha approvata, contano i numeri che, evidentemente, sono molto più importanti dei diritti civili, ma non è una novità. Repubblica ha adottato una linea fortemente omofoba, ed un linguaggio fortemente discriminatorio verso le persone omosessuali, per decenni della sua gloriosa [sic] storia giornalistica da un colpo al cerchio e uno alla botte. Ora, non essendo attaccabile Matteo Renzi per questioni di partito, si inizia con le legnate alle leggi che ha approvato. E siccome la comunità LGBT fa sempre notizia, si comincia da loro.

L’articolo si spinge assai in là: spiega che “a scorrere le tabelle, colpisce il fatto che in Molise ci sia stata una sola unione. Che ve ne siano state soltanto due in Basilicata, una a Potenza e una a Matera. Che in Calabria si arrivi solo a otto. Le Regioni del Sud che tengono in alto i numeri sono solo la Campania con 105 unioni e la Sicilia con 75. Ma va detto che anche in Valle D’Aosta le unioni sono state solo sei. Adesso dovranno essere gli studiosi a spiegare se nel Sud non ci sono proprio persone dello stesso sesso che vogliono unirsi ufficialmente, oppure se le coppie omosessuali ancora si nascondono, magari perché rendere ufficiale il rapporto, e quindi l’unione, potrebbe avere conseguenze sul lavoro e la vita sociale”. Magari? Se…? … gli studiosi? In che mondo vive la firmataria dell’articolo? E’ al corrente della ferocia dell’omofobia nel sud d’Italia? E’ al corrente delle minacce che ricevono le persone omosessuali in certe zone d’Italia? Si rende conto della pressione psicologica – che porta a devastanti forme di omofobia interiorizzata – che le persone omosessuali continuano a subire per effetti di una società che ha bisogno di articoli come il suo per poter classificarle eternamente come incapaci di avere rapporti duraturi?

Il dato, secondo l’articolo, è che l’Italia è divisa in due anche sulle Unioni Civili. Non  che l’Italia è devastata dall’intolleranza verso tutto ciò che è “differente” e che gli omosessuali, e quindi le loro coppie, sono tra i primi a subirne gli effetti. Contano i numeri e la chiosa, alla faccia dei diritti, che si chiede che cosa sarebbe successo “se le coppie avessero potuto regolarizzare grazie alla legge anche gli eventuali figli dei partner o addirittura adottarne”.

Chissà che cosa succederebbe, ci chiediamo noi, se l’Italia potesse avere una stampa obiettiva e non prona agli interessi politici del momento e che si rendesse conto che le leggi servono quando si vuole usarne e non c’è nessun obbligo di usarle. Mi unisco civilmente o mi sposo se ne ho voglia, non per fare un piacere alle vuote statistiche di Repubblica.

 




(7 maggio 2017)

 

 

 

 

 

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