di Mila Mercadante twitter@mila56170236
In un mondo in cui tutti possono conoscere tutti è liberatorio prendersi il lusso di non entrare in questo meccanismo. In un mondo in cui tutti sono rintracciabili 24 ore su 24 a mezzo smartphone è necessario prendere le distanze. Se nel cuore della notte riceviamo un messaggio, non possiamo fare a meno di leggerlo e di rispondere. E’ come un imperativo, un ordine, una sollecitazione diretta al nostro senso di responsabilità: come facciamo a evitare di reagire di fronte a qualcuno che ha cercato proprio noi, e proprio in quel momento? Se ci sottraiamo siamo in qualche modo disobbedienti, commettiamo un atto di insubordinazione perché non partecipiamo alla consuetudine ormai sottintesa e ineluttabile di esserci sempre, pena l’esclusione e l’emarginazione. Non somigliare agli altri e non agire congiuntamente col resto del mondo genera sensi di colpa, un rimorso, e non rispondere a chi ci cerca ci fa sentire scortesi, pigri, egoisti. Ci sono insomma molte più ragioni per non perdere mai il contatto – o meglio la connessione – che per fare il contrario. A quanti di noi è capitato di ricevere un rimprovero per non aver risposto a un messaggio, a una telefonata? Quanti trovano la forza di non leggere subito un tweet che li menziona? Chi riesce ad addormentarsi senza dar peso all’avviso di whatsapp?
Se un cellulare non ha la connessione internet e viene adoperato solo per le telefonate il tempo quotidiano si allunga, ci si mette nella condizione di stabilire quando e perché connettersi usando altri mezzi meno invadenti di uno smartphone. Il principio di realtà non viene sopraffatto, non si subiscono continue interruzioni e neanche tutte le pur piacevolissime sollecitazioni a essere sempre presenti e on line. L’ho fatto, poi mi sono imbattuta in Mobilitazione totale di Maurizio Ferraris, un libro che consiglio vivamente a tutti. Banalizzando un discorso filosofico molto profondo ho compreso che il gigantesco sistema di consuetudini, leggi scritte e non scritte, abitudini e simboli nel quale ci muoviamo sin dalla nascita costituisce ciò che definiamo la nostra anima. La nostra anima la possiamo vedere solo attraverso gli altri, solo attraverso il “senso di mondo” che essi ci rimandano.
Assodato il fatto che la tecnologia e il web sono insieme coercizione e autonomia, ho capito che in maniera empirica cerco – come tanti altri – di difendermi da qualcosa che mi attrae molto ma che sono certa di non poter dominare se non imponendomi delle regole severe. Come un soldato. Ferraris parla sorprendentemente di militarizzazione: non solo adopera l’acronimo ARMI (Apparecchi di Registrazione e Mobilitazione dell’Intenzionalità) per definire il web e il corredo tecnologico di cui siamo dotati, ma dice testualmente che «ciò a cui stiamo assistendo è il dispiegarsi su scala mondiale di un potere il cui antenato più prossimo è appunto l’alleanza tra burocrazia e potere militare che si manifesta nelle esperienze storiche della mobilitazione totale.» In Mobilitazione totale il filosofo sostiene che l’essere umano si illude di poter gestire il fenomeno e di dominare la situazione, ma non può riuscirvi se non attraverso una serie di limitazioni a tutela dei diritti della realtà. Poiché siamo fragili, noi umani da sempre abbiamo bisogno di utensili, di oggetti tecnici, dei quali diventiamo giocoforza dipendenti. Non c’è nessuno che cospiri per tenerci imbrigliati, siamo noi stessi gli artefici di tale dipendenza, per nostra stessa natura. Non si rintraccia alcun aspetto parassitario nella dipedenza di cui parla Ferraris: egli non vuole affatto criticare la tecnologia, non ha intenti moralistici né ritiene che si sia tutti vittime di un big brother. La sua analisi è antropologica e tende al realismo: l’uomo non forma il mondo, semmai dipende dal mondo che lo forma. Per sua stessa natura.
Apparecchi di registrazione è una denominazione particolarmente interessante. Attraverso il web siamo tutti registrati e al contempo registriamo. Registrare significa lasciare intenzionalmente una traccia laddove sappiamo perfettamente che essa non sparirà mai. Non solo: la nuova modalità di comunicazione privilegia sempre di più lo scrivere rispetto al parlare. Verba volant, mentre la parola scritta costituisce una memoria indelebile. Non siamo affatto spaventati all’idea di lasciare in giro e alla portata di tutti quella sorta di diario che nel corso del tempo abbiamo scritto e congelato nel web. Senza memoria del resto non c’è un soggetto, non c’è l’esistente, non c’è niente, neanche i sentimenti. Ferraris dice che “siamo circondati da archivi, da che mondo è mondo, da quando un uomo ha disegnato una figura sulla parete di una caverna o ha inciso una tacca su un osso. Proprio per questo l’anima è come un iPad. L’iPad è come tutte le tabulae che lo hanno preceduto e come tutte quelle che verranno dopo di lui.”
In conclusione: se le ARMI che abbiamo a disposizione dispongono di noi anche noi possiamo disporne in maniera prevalentemente costruttiva: esse rappresentano un’eccezionale opportunità per migliorare, non dimenticando che sono immense biblioteche, discoteche, pinacoteche. E’ facilissimo trarne il massimo del profitto: basta trattarle soprattutto come strumenti utili dal punto di vista umanistico e il meno possibile come mezzi per farci rubare il tempo sottomettendoci ai richiami, tenendoci perennemente sull’attenti: “Presente!, dimmi tutto”.
(23 settembre 2016)
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