di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
La sindrome di “accerchiamento” che sta colpendo i cattolici italiani è ingiustificata: sono i casi di religiosità esasperata di Mario Adinolfi, Magdi Allam e Carlo Giovanardi che stanno, invece, facendo sentire il “gregge” dei fedeli di Cristo in una sorta di “cittadella assediata”. Nessuno intende mettere in forse la libertà di professare una fede. Quel che si vuole impedire è che tale credenza divenga uno schematismo ideologico, teso a trascinare anche i cattolici più coerenti dalla parte del torto. Nella società occidentale esiste una questione di “ambiguità” ben distinta rispetto ai sentimenti cristiani autentici: se non si comprende questo, non si potranno fare ulteriori passi in avanti sulla frontiera del dialogo. L’ambiguità a cui stiamo facendo riferimento è l’utilizzo strumentale della religione per dissimulare l’estremismo “integrista” dei pochi, rispetto ai sentimenti di moderazione e di buon senso dei tanti. Se si continua a considerare gli omosessuali dei depravati al di fuori di ogni condizione di “normalità omologativa”, si dimostra solamente un atteggiamento che non è affatto cattolico, bensì e più semplicemente “maligno”, se non malvagio. Si potrebbe inserire, in tale ragionamento, la categoria teologica del “non bene” in quanto territorio di “mezzo” tra il male e il bene stesso. Tuttavia, noi preferiamo fornire ai cattolici italiani un’indicazione assai meno teologica e ben più concreta: quella di cominciare a guardarsi dal manicheismo degli Adinolfi e dei Giovanardi, poiché tali esponenti teorizzano, unicamente per finalità di consenso politico, la negazione di una serie di diritti individuali assolutamente legittimi per ogni singolo cittadino. Essi sono moralmente “cattivi”, tanto per usare una vecchia categoria, tanto cara a certe “suorine del convento” che conoscevamo una volta. E il fedele cattolico non solo non può essere una persona “cattiva”, bensì è tenuto a nutrire un sentimento religioso, dunque universale, di amore nei confronti del prossimo. Se si decide di trascendere la norma giuridica in nome di principi meramente fideistici, non previsti dal nostro ordinamento, si fa solamente un torto alla propria stessa fede (e, in senso lato, ad Antonio Rosmini e Alessandro Manzoni…). Il credente cattolico non ha bisogno di discriminare il prossimo. In particolare, non può farlo sul terreno degli orientamenti sessuali innanzi a un mondo che, ogni giorno, ci presenta problematiche ben peggiori. Se ci si ostina a richiamarsi a una tradizione plurisecolare di persecutori di ebrei, donne, omosessuali, streghe, eretici e via dicendo, si rimane nell’ambito del cattolicesimo “tridentino”, ovvero quello “controriformista”, per usare una categoria tanto cara ad Antonio Gramsci. E tale ragionamento è talmente valido che non lo rivolgiamo affatto contro Mario Adinolfi, Carlo Giovanardi, Matteo Salvini, Magdi Allam e compagnia “salmodiante”, bensì ai nostri cari colleghi del mondo dell’informazione, in particolar modo quelli della televisione. Se proprio ritenete opportuno di dover invitare, nelle vostre discutibili trasmissioni, dei cattolici ortodossi, siete vivamente pregati di scegliere persone che non discriminino nessuno e che non sentano l’inconscia e preventiva necessità di creare nuovi “apartheid” nei confronti del prossimo. Proprio il cristianesimo ci insegna che i peccati dello spirito sono assai più gravi di quelli della carne: se vi sono persone che discriminano pubblicamente il prossimo è dovere dell’informazione discriminare essa stessa tali personaggi, al fine di individuare esponenti culturalmente degni di affrontare dibattiti televisivi intorno a temi assai delicati come quelli dei diritti civili. Non vogliamo più vedere il signor “Qualunque” e la signorina “Laqualsiasi” trattati come “personaggioni” che “fanno notizia” per le loro assurde opinioni. Anche perché la “notizia”, in termini giornalistici, non è affatto una “cagata in salotto”. L’apologia di reato è essa stessa un reato, assai più grave dell’ingiuria e della diffamazione a mezzo stampa. La sola eccezione plausibile a tale criterio può essere concessa a coloro i quali – come per esempio Giorgia Meloni ma anche altri – pur essendo contrari al “telegrafo” non pretendono di venirci a dire di quale colore dovrebbero essere i “pali”. Fateci sapere se il criterio è chiaro, cari colleghi. Sempreché ci teniate a essere ancora considerati, in futuro, come tali.
(1 giugno 2016)
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