di Giovanna Di Rosa
Stefano Fassina in un’intervista a Il Manifesto del 6 gennaio scorso pubblicata sul sito di Sel Roma (sì, proprio quel quotidiano che gli faceva pelo e contropelo quando era responsabile economico del Partito Democratico) riesce o tenta di riuscire in ciò che a Berlusconi riusciva benissimo: spacciarsi per il nuovo lavorando per far dimenticare ciò che ha fatto prima. Fassina ha un problema, non ha le corazzate Mediaset alle spalle, e all’intervista ad uso di Sel e fanatici il giochetto non riesce.
Stefano Fassina da responsabile economico del Pd ha sostenuto il governo Monti e tutte le scelte economiche – contestatissime da quella stessa Sel che oggi lo presenta come candidato sindaco e come nuovo faro della Sinistra Italiana – che l’impopolare governo dei professori ha messo in atto, riforma Fornero compresa. Presentarsi ora come il nuovo alfiere delle politiche di sinistra per la poltrona di Sindaco di Roma fa proprio ridere, ma la politica con la lettera minuscola è anche questa. E Fassina ne è perfetto rappresentante.
L’intervista, che racconta il nulla, è l’apologia del Fassina-pensiero: fatto di niente, nulla e anche meno, e si apre con una dichiarazione straordinaria relativa alle primarie del Pd alle quali il candidato sindaco di tutte le capitali dichiara che non parteciperà perché sono “un invito da ceto politico”. Come se lui del “ceto politico” non abbia mai fatto parte.
Rivendicando per sé la candidatura alla poltronissima capitolina l’ex responsabile economico del Pd che votava la legge Fornero senza battere ciglio ed ora si scopre folgorato sulla via della falce e martello, ricordò i suoi 10mila voti alle ultime primarie del Pd. Certo quello era un altro Fassina, un Fassina di potere, Renzi era stato sconfitto e l’immobile Pd dei vari Bersani e Fassina si sentiva invincibile. Ma il mondo cambia. E Renzi si è preso partito e Palazzo Chigi. Dura da mangiare giù. Così Fassina si inventa che “una parte importante del popolo democratico ha già lasciato il Pd” e si scaglia contro “il Pd del Nazareno, del tutto subalterno a Renzi”, Nazareno che non esiste più.
Il meglio del Fassina-pensiero deve però ancora venire: stimolato sul programma dalla soave intervistatrice il candidato alla poltronissima capitolina torna sulla sua proposta di “un referendum sulle Olimpiadi per far scegliere ai cittadini” per chiedere loro “se è meglio investire le risorse su Roma 2024 o sulla mobilità sostenibile” e “riqualificazione delle periferie”. Quelle periferie delle quali l’ex sottosegretario Pd pareva ignorare l’ubicazione solo un paio di settimane fa quando non seppe rispondere a precise domande di alcuni giornalisti nella sua proletarissima sede elettorale a Tor Pignattara. Poi dice no allo stadio di Roma che vuol dire inimicarsi gran parte di coloro che dovrebbero votarlo, dei quali il Fassina-pensante non si cura. Lui può.
Il nulla che avanza continua poi elencando le ragioni della discontinuità (sulla discontinuità di Sel ci sarebbe da scrivere a lungo, dispiacendosene, ma non è questa la sede) col passato grazie ad una serie di affermazioni propagandistiche vuote come è vuoto il suo pensiero, che ha in realtà soltanto un obbiettivo: distruggere Renzi che lo ha irriso.
Tace colpevolmente, Stefano Fassina, sulla guerriglia scatenata dalla sua autocandidatura a sindaco di Roma subito accettata dai vertici romani di Sel, che semina dubbi tra coloro che all’ennesima Cosa Rossa ci credevano e sulla manifesta (fino a quando?) intransigenza del candidato alla poltronissima capitolina che rischia di andare a cercare un elettorato già attratto dal Movimento 5 Stelle con la cui forza antagonista difficilmente potrà competere.
Il quotidiano l’Unità da parte sua, facendo il suo mestiere di organo del Pd, scrive che la candidatura di Stefano Fassina, a sinistra, è appoggiata da Sel Nazionale e dal coordinatore romano Paolo Cento, ma è contestata da due big del partito romano: il vicepresidente della giunta regionale, Massimiliano Smeriglio e l’ex-capogruppo in consiglio comunale, Gianluca Peciola, favorevoli alla partecipazione a primarie di coalizione, come a Milano. Secondo Paolo Cento infatti il Pd “ha scelto di rompere la logica di coalizione quando ha scelto l’Italicum e pare bizzarro che ora la invochi nelle città. Comunque siccome nei comuni si vota con il doppio turno noi proponiamo al Pd un patto di reciproco sostegno per chi dovesse arrivare al ballotaggio. E poi, francamente, mi pare alquanto bizzarro che si chieda conto a noi della candidatura di Stefano Fassina: chi è il candidato del Pd, con quali idee? Certo dentro Sel discutiamo e sono benvenute tutte le iniziative”. Gianluca Peciola dal canto suo ritiene che Roma non debba “diventare la colonia di Renzi, per questo non possiamo abbandonare una battaglia dentro il centrosinistra, lasciandogli campo libero”, ma aggiunge anche con chiarezza che la capitale non deve finire “a dover scegliere tra la morsa del populismo della destra di Meloni e del M5S. Per questo credo che, senza aver nulla da obiettare alla candidatura di Fassina, occorra un passaggio che coinvolga le tante forze che si riconoscono nella sinistra romana. Sono loro a dover scegliere, non qualcuno al chiuso della stanze dei partiti nazionali”.
Stefano Fassina non fa una piega. Ciò che vuole è il riconoscimento, l’essere qualcuno, vincere e dimostrare a Renzi di essere migliore di lui. E mal gliene incorrerà. Peraltro Fassina non ha nemmeno lontanamente pensato di dimettersi dal parlamento, mossa che avrebbe segnato sul serio un cambio di rotta totale e radicale. Si veste da candidato della sinistra radicale e pretenziosamente antagonista, ma rimane saldo sulla sua poltrona grazie ai voti del Pd, quello stesso Pd delle cui politiche economiche – ferocemente contestate da Sel – quelle politiche economiche che sostenevano il governo Monti e la legge Fornero (“non c’è ragione di approvare una nuova riforma del lavoro che modifichi quella promossa dal ministro Fornero”, aveva detto al Financial Times in un’intervista dell’ottobre 2013), è stato fedele guardiano.
Fassina coerenza.
(7 gennaio 2016)
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