di Federica
Domenica pomeriggio di sole, sono in centro e faccio due passi con il mio compagno. Ci fermiamo dalle parti del centro di una città x, non la cito perché quello che sto per raccontare vale per tutte le città d’Italia, poco distanti da noi due ragazzi – chiaramente una coppia gay, una coppia gay innamorata, tanto innaorata che non riesce a nasconderlo – in compagnia di una loro amica, chiacchierano, ridono, uno dei due si stringe all’altro, lo bacia sul collo. Riceve un bacio in fronte per risposta. Sono felici.
Vorrei avvicinarmi ed invitarli alla prudenza: dire loro “Attenti. In questo paese possono pestarvi a sangue per le vostre innocenti e giuste manifestazioni d’affetto”, ma non ne ho il coraggio e lascio passare l’impulso.
Avvisandoli avrei loro tolto la libertà di essere quello che sono, li avrei forse aiutati, ma avrei tolto loro la spontaneità dei loro sentimenti. La bellezza del loro amore che non faceva pensare a sfrontatezza, ma ad affetto, attaccamento, amore come solo la prima cotta può regalare.
Non volevo, in qualche modo, ricordare loro che fuori dal loro amore c’è l’odio per chi si prende la libertà di amare chi ama e non chi dovrebbe amare. Mi sono sentita vigliacca. Al mio compagno ho detto “Forse ho sbagliato”.
Ma mentre sto scrivendo penso che invece, forse ho fatto bene. Ci penseranno, forse, un branco di omofobi a ricordare loro che la realtà è fatta di rischi e che la felicità scatena l’odio. O magari no.
E voglio optare per questa seconda ipotesi.
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