Era il 10 maggio 1933 e i Nazisti scrivevano una pagina della loro storia attraverso il rogo di decine di migliaia di libri, molti di autori ebrei come Sigmund Freud, padre della psicanalisi, facendo loro un’azione che secoli prima era stata ad esclusivo appannaggio dell’altro grande nazismo della storia del genere umano, l’Inquisizione.
L’altro grande nazismo, quello chiamato stalinismo, in silenzio stava distruggendo fisicamente decine di migliaia di uomini.
Dopo il rogo di libri, ed il sequestro di oltre cento tipografie appartenenti al Partito Socialdemocratico, principale partito d’opposizione che si vide sequestrato anche tutto il suo patrimonio, furono gli artisti e gli intellettuali a doversene andare: tra gli altri il premio Nobel Thomas Mann e Bertold Brecht.
Mein Kampf trionfò, ma per poco. Ora è patrimonio di pericolosi nostalgici.
Il nazismo culturale si è raffinato, se prima si distruggevano libri e case editrici, tipografie, uomini di cultura, oggi si comprano per piegarli al proprio volere o al disegno politico che si ha in testa.
Sono cambiati i metodi, i luoghi, le persone, ma non i disegni totalitari. Si creano legami stretti tra il potere e la cultura sotto forma di finanziamenti pubblici.
La cultura continua ad essere scomoda, soprattutto quando è vera cultura, quando è irriverente, lontana dal potere, critica, feroce, quando è vera cultura.
I roghi sono lontani, ma non così lontani, ci sono nostalgici pronti a scatenarne altri (certi evangelisti integralisti americani lo hanno già fatto, con copie del Corano ed altri libri scritti in arabo), l’epoca richiede una profonda riforma educativa e culturale che metta in primo piano il rispetto per gli altri. Quello vero.
Per non dimenticare.