Nella giornata in cui davanti a migliaia di persone il segretario Bersani diceva sí alle ”Unioni Civili”, il presidente di Arcigay Paolo Patanè chiedeva le ”nozze gay”, segno dell’identità di vedute tra chi presume di governare l’Italia e il leader di quella che denuncia essere la più importante associazione gay del Paese.
Da questo punto di vista il Gay Pride è un’altro sonoro flop: le associazioni dicono una cosa, i segretari di partito conquistano la scena con dichiarazioni altisonanti. E’ cosí da sempre. E gli ingenui presidenti delle varie arcigaïe non hanno ancora cambiato strategia. Penoso spettacolo.
”Cari amici,
nell’esprimere l’adesione del Partito Democratico al Pride nazionale in programma per questo sabato a Bologna, desidero innanzitutto dirvi grazie. Non è facile in una fase politico-economica difficile come questa lottare per rimettere al centro della discussione politica il tema dei diritti civili delle persone. Movimenti come il vostro spronano la politica italiana, a portare l’Italia, anche su questi temi, nel novero dei principali paesi occidentali (…) In tutto il mondo le forze progressiste, dal Presidente USA Obama al neo-eletto Presidente francese Hollande, sono impegnate a costruire un nuovo civismo in cui ciascuna persona possa avere pari diritti e pari opportunità di vita, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale e identità di genere. Il Partito Democratico non intende sottrarsi a questa discussione: non è accettabile che in Italia non si sia ancora introdotta una legge che faccia uscire dal far west le convivenze stabili tra omosessuali, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico, così come è intollerabile che questo Parlamento non sia riuscito a varare una legge contro l’omofobia e la transfobia. Sarà anche su questi temi, tra cui mi permetto di aggiungere il divorzio breve, l’introduzione del diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia, e il testamento biologico, che nei mesi che verranno di qui alle prossime elezioni politiche, si giocherà la nostra capacità di parlare al Paese”.
Interessante il commento pubblico di un utente di Gay.it: ”Parole, parole, parole. Ne ho sentite migliaia di parole ma poi alla resa dei conti c’è sempre stato il nulla di fatto. Rosy Bindi sta studiando il problema delle coppie gay? E cosa ne può saltar fuori, una schifezza come quella dei DICO? Se vogliono regolamentare le coppie di fatto non devono far altro che prendere i PACS francesi o (ancora meglio) i Civil Partnership inglesi e tradurli in italiano. Se ci stanno studiando significa che cercano il modo per concedere meno diritti possibili per non scontentare la chiesa facendo passare la cosa come un grande esempio di civismo. Io sono scettico. Attendo i fatti, solo allora giudicherò, niente fatti, niente voto. Semplice.”
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