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Quel complottismo che alimenta pregiudizi e malafede

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di Vittorio Lussana

Il 32% degli italiani è convinto che l’attentato alle Torri Gemelle sia stato organizzato dagli americani; il 29% ritiene che la missione Apollo 11 sia una fake news e che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna; il 17% considera plausibile che l’Olocausto non sia mai avvenuto; il 25% ritiene che i vaccini siano uno strumento per controllare i popoli attraverso il 5G, oppure che modifichino il Dna umano; il 15% pensa che, probabilmente, la Terra non sia sferica, ma piatta.

Questi i risultati di un recente sondaggio di Swg. Stando così le cose, siamo circondati da persone superstiziose e irrazionali, ossessionate dai complotti: in media, uno su quattro. Ci sono delle dosi di verità in qualsiasi teoria, dal Piano Kalergi alle più recenti tesi in merito alla Grande sostituzione di Renaud Camus. Ipotesi buone per vendere libri, ma poco supportate da prove, a malapena giustificate dall’imponente passato coloniale francese che ha generato, fin dagli anni ’80 del secolo scorso, potenti flussi di immigrazione dalle ex colonie.

La questione, ovviamente, è più complessa. Come ha spiegato agli inizi del XX secolo lo psicologo Gustave Le Bon: “La ragione crea la scienza, ma sono i sentimenti a guidare la Storia”. E i sentimenti sono, da sempre, più forti della ragione: possono indurci a confutare anche le più acclarate evidenze scientifiche e a rifugiarci nelle rassicuranti teorie del complotto. Rassicuranti, perché apparentemente riescono a mettere ordine nel caos, escludendo il ruolo, spesso determinante, del caso o della natura, a conferma i nostri più radicati pregiudizi. In tal senso, la gaffe commessa nei giorni scorsi dal ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, non sarebbe gravissima: egli ha semplicemente dato per scontato che la “sostituzione etnica” fosse tecnicamente in corso. Un processo demografico conclamato, che spiegherebbe un fenomeno epocale molto complesso.

Tutto ciò chiarisce perché essere conservatori, all’alba del Terzo millennio, non significhi conservare tutto, comparando con indifferenza classista spiegazioni e diagnosi che non sono sullo stesso piano. Ma dirsi conservatori soltanto a parole, come fosse una mera etichetta, per continuare a formulare ipotesi estreme, non è il massimo della comunicazione.

La destra italiana dovrebbe fare esattamente questo sforzo: rinunciare alla malafede e sradicare il razzismo dai propri cuori e dalle proprie menti. Anche perché non si tratta di un elemento che le apparterrebbe ab originem, in quanto discendente da teorie imperialiste e colonialiste del XIX secolo, che Adolf Hitler e Alfred Rosenberg fecero proprie e rilanciarono. La teoria della sostituzione etnica, insomma, è un prodotto dell’imperialismo occidentale. E una nuova cultura nazionalista può rigettarla tranquillamente, soprattutto se vuole affrancarsi dalla propria condizione di cameriera del capitalismo e rielaborare una propria dottrina sociale, più in linea con la sua stessa tradizione. Non tutto può esser messo in equazione con altri fenomeni e processi demografici, come la crisi della natalità. E la difficoltà di questo lavoro di decontaminazione risiede proprio in questo: oltre a guardarsi dal fascismo, che fagocitò il nazionalismo, bisogna anche liberarsi dagli altri schematismi ideologici, come il suprematismo neonazista e il confessionalismo religioso più atavico e tribale.

Noi comprendiamo la tentazione di provare a utilizzare uno schematismo ideologico al posto di un altro. E capiamo anche le intenzioni di fondo del ministro Lollobrigida, che erano semplicemente esplicative. Tuttavia, se lo spirito del ragionamento – ovvero l’intenzione – era ben altro, si analizzi l’errore e si proceda a liberarsene. Anche semplicemente per passare a una nuova teoria dello spirito, più adatta ai tempi. In caso contrario, la destra italiana si ritroverà sempre in debito nei confronti di chi utilizza il socialismo umanitario, spesso soltanto a parole.

Infine, questa destra inattuale, periodicamente commette gli stessi errori di sempre, come se non possedesse il dono della memoria. E ogni volta si difende – era già capitato durante le polemiche relative ai “porti chiusi” di Matteo Salvini – andando a ripescare un documento dell’Onu dell’anno 2000, che parla di “migrazione di ricambio” in quanto processo puramente demografico. I complottisti lo avevano tradotto con la locuzione “sostituzione etnica”, che invece non viene nominata in nessun punto del documento: il primo concetto, infatti, è statistico; il secondo, invece, è brutalmente razziale.

Cose già scritte nell’estate del 2018 proprio dalla presente testata, dimostrando il propagandismo di un ceto politico ormai affetto da una sindrome regressiva sempre più palese ed evidente.

 

 
(21 aprile 2023)

©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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