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Rampelli e il progetto di legge sull’uso “corretto della lingua italiana e della sua pronunzia”. Proprio così: “Pronunzia”

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di Daniele Santi

In quest’articolo surreale e completamente inutile, come certe proposte di legge, vorremmo alleggerire con voi il portato della surreale proposta di legge, l’ennesimo strumento di distrazione di massa, su quelli che chiamano forestierismi. Una lunga serie di articoli a protezione di robe che facciamo abitualmente e già nella nostra lingua nazionale, la stessa dal 1200, e che francamente non meriterebbero una proposta di legge apposita. Ma bisogna tenersi impegnati.

Ad esempio l’Art. 1 recita “La Repubblica garantisce l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nonché in ogni sede giurisdizionale”; l’
Art. 2 stabilisce che la “La lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e di servizi pubblici nel territorio nazionale” specificando che gli enti pubblici e privati “sono tenuti a presentare” in lingua italiana qualsiasi documentazione “relativa ai beni materiali e immateriali prodotti e distribuiti sul territorio nazionale”. E ogni informazione presente in un luogo pubblico “ovvero derivante da fondi pubblici” deve essere trasmessa in lingua italiana. Giuro, e giuro di nuovo, che ho sempre visto quei documenti in lingua italiana, magari con traduzioni in altri lingue, ma la lingua italiana l’ho sempre vista al primo posto.

Secondo l’Art.3 per ogni manifestazione, conferenza o riunione pubblica organizzata nel territorio italiano è obbligatorio “l’utilizzo di strumenti di traduzione” per garantire “la perfetta comprensione in lingua italiana dei contenuti dell’evento”. Sono stato addirittura pagato da ditte italiane per traduzioni simultanee o consecutivi da una data lingua straniera all’italiano nella convinzione infantile che il tradurre all’italiano da una lingua straniera fosse consuetudine. Devo avere sognato.

Ma fa riflettere l’articolo 4 che specifica come “Chiunque ricopre cariche” all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni “è tenuto” alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana, e sentendo come parlano alcuni parlamentari, data l’impossibilità che parrebbe genetica all’utilizzo dei gerundi e dei congiuntivi e senza fare nomi e cognomi, di questo si potrebbe anche comprendere una lontana necessità, con particolare riferimento ai parlamentari, ma l’articolo specifica poi che “le sigle e le denominazioni delle funzioni ricoperte nelle aziende che operano nel territorio nazionale” devono essere in lingua italiana. E anche i “regolamenti interni delle imprese che operano nel territorio nazionale” devono essere redatti in lingua italiana. E, prima di far notare sommessamente che sono cose che si fanno già e iIn Italiano, dobbiamo di nuovo renderci conto di essere in pieno ridicolo.

E’ geniale l’articolo 5 che punta a modificare l’articolo 1346 del codice civile, rendendo obbligatorio l’utilizzo della lingua italiana nei contratti di lavoro: “Il contratto deve essere stipulato nella lingua italiana”. Voi avete mai frmato contratti in bengalese? Io no. E nemmeno li ho fatti firmare. Di una banalità imbarazzante l’indicazione che spiega (e prevede) come negli istituti scolastici di ogni ordine e grado e nelle università pubbliche italiane “le offerte formative non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana”: notevole la precisazione non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere… in lingua italiana. E’ l’articolo 6.

Non poteva mancare un comitato, che ha bisogno di organi, e che è proposto dall’articolo 7 che istituisce presso il ministero della cultura “il Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana nel territorio nazionale e all’estero”: sarà presieduto da rappresentanti dell’Accademia della Crusca, della società Dante Alighieri, dell’istituto Treccani, del ministero degli affari esteri, del ministero dell’istruzione e del merito, dell’università e della ricerca, del dipartimento per l’editoria della presidenza del Consiglio e della Rai. Dovranno promuovere “la conoscenza delle strutture grammaticali e lessicali della lingua italiana”, l’uso “corretto della lingua italiana e della sua pronunzia” (possibilmente con arcaismi che nessuno usa più, si dice pronuncia, ma è un dettaglio) un po’ dappertutto con l’obbiettivo de “l’arricchimento della lingua italiana allo scopo primario di mettere a disposizione dei cittadini termini idonei a esprimere tutte le nozioni del mondo contemporaneo, favorendo la presenza della lingua italiana nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione” e, con riferimento alle pubbliche amministrazioni, garantire “forme di espressione linguistica semplici, efficaci e immediatamente comprensibili, al fine di agevolare e di rendere chiara la comunicazione con i cittadini anche attraverso strumenti informatici”. Auguri.

L’articolo 8, infine, regala la ciliegina della sanzione, che nello stato autarchico di rampelliano sogno non può mancare: “La violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5.000 euro a 100.000 euro”.

Non è specificata alcuna sanzione per chi nelle aule parlamentari sbaglia i verbi. Oltre a scrivere leggi incomprensibili.

Lapidari dal M5S: “Pensavamo di averne viste già molte di proposte sconclusionate e al limite del ridicolo da parte di questa maggioranza, ma quella che giunge con apposito disegno di legge da parte del vicepresidente della Camera Rampelli le batte tutte. Peccato che sia proprio il suo governo ad aver istituito il Ministero del “made in Italy”. Rampelli denuncerà il collega di partito Urso che è a capo di un siffatto ministero,  tanto incline al forestierismo perfino nel suo nome?”.

 

 

(2 aprile 2023)

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