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Siamo all’ennesimo 25 novembre…. E ancora non capiscono di cosa hanno davvero bisogno le donne

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di Monica Maggi

Ci siamo, eccoci all’ennesimo 25 novembre. Tutti i preparativi e le passerelle sono nell’aria da un bel po’, le vediamo sui giornali e dovunque. Sono sfilate e foto in bella mostra che ora vengono sparse a pioggia per mandare il seguente messaggio: vedete, delle donne ci stiamo occupando e preoccupando, e pure tanto.

Ora devo dire che quella più impressionante è stata la foto di Lorenzo Fontana, presidente della Camera, attorniato da cinque donne eleganti, oggettivamente eleganti e (leggendo le qualifiche) in un certo senso impegnate sul fronte delle donne. A parte il fatto che la parola “femminismo” non la si legge neanche ad inforcare la lente di ingrandimento (e forse dovrebbe essere quella messa a calce sopra ogni articolo) da brava donna femminista mi ha colpito un particolare: il dress code, la mise…insomma, com’erano vestite.

Certo, ad una presentazione del genere ci si va vestite bene, lo dicono pure tutte le mamme del mondo ad ogni epoca e ad ogni latitudine, però il tutto sembra così fuori dal tempo. Io credo e fermamente credo che poche persone di quelle che celebrano il 25 novembre come data di resurrezione femminile sappiano di cosa avrebbero bisogno le donne. Per risorgere, per vivere, per dire di avere un’esistenza degna di questo nome, e non una sopravvivenza.

Per occuparsi di loro e parlarne non si dovrebbe arrivare alla violenza, al femminicidio. Ok, potrebbe partire il solito sermone che non porta a nulla, ma allora ecco due o tre suggerimenti per realizzare un 25 novembre lungo tutto un anno e tutta una vita (la prossima).

  1. Mettere donne nei vertici politici dove ci sia progresso ed emancipazione. Adesso abbiamo una donna di destra. E la sinistra dov’è stata finora? Per esperienza diretta (sono stata candidata alle municipali di Roma nelle liste PD) lo posso dire: le donne di sinistra sono “portatrici d’acqua”, fanno ticket, insomma portano voti. E zitte, mi raccomando.
  2. Nei programmi scolastici inserire “educazione alla relazione” con sottotitolo “col proprio corpo e con il corpo dell’altra/o”. la percezione che si ha della nostra pelle si sta sgretolando, e questo ci fa scappare dalla nostra sofferenza e non ci fa sentire l’altrui.
  3. Farsi un giro sui mezzi di trasporto possibilmente a Roma. Si vedrebbero tante di quelle donne che escono la mattina alle sette dopo aver imbacuccato i figli per spedirli a scuola o dai nonni, preparato pranzo e cena, pulito sommariamente e poi di corsa al lavoro in autobus o metro, perchè i soldi per la macchina non ci sono.

Ecco, potrei andare avanti per molto ma la finisco qui. Dedico questo pezzo alle donne dolenti e meravigliose che, con un paio di quelle scarpe viste in foto, potrebbero mandare avanti la famiglia per un mese o forse due.

 

 

(24 novembre 2022)

©gaiaitalia.com 2022 – diritti riservati, riproduzione vietata

 





 

 

 

 

 

 

 

 



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