di Marco Biondi
In un’amministrazione con risorse molto ridotte, quella per intenderci succeduta al disastro della gestione berlusconiana dell’era “bunga bunga”, fu introdotto un sostegno per le famiglie più povere. Era certamente inadeguato, sia per la platea di famiglie che coinvolgeva che per l’esiguità degli importi che venivano erogati mensilmente, ma ha rappresentato un segno importante di comprensione. Per la prima volta era passato il principio che non sempre si riesce a campare solo col lavoro. Ci sono casi, tanti, nei quali il lavoro non si trova o non si può trovare o, comunque, che il reddito che si riesce a produrre è inadeguato per il sostentamento della propria famiglia.
Inutile analizzare quali fossero i casi, ma per fare solo qualche esempio, si parla di famiglie numerose, con disabilità, con condizioni di salute inadeguate per generare reddito, che se non fossero sostenute dallo Stato, sarebbero nell’indigenza e a rischio sopravvivenza.
Poi, però subentrò il calcolo politico. E il Movimento 5 Stelle basò tutta la sua campagna elettorale che li portò ad ottenere un terzo dei seggi parlamentari alle elezioni del 2018 sul “Reddito di cittadinanza”. L’idea, che nasceva sulla considerazione che siamo uno Stato ricco e iniquo, era quella di erogare un reddito a chiunque non avesse redditi “al sole” adeguati per una vita dignitosa. Per carità, il principio non lo contesto, se lo Stato se lo può permettere, ben venga. A condizione però che i cittadini che ne facciano richiesta siano onesti e trasparenti. E già qui, qualche prurito emerge. Ma proseguiamo con ordine.
Per rendere “digeribile” per lo Stato, e per le sue Leggi, una misura tanto importante, decidono di legarla alla ricerca di un lavoro che possa, una volta trovato, far cessare la necessità di ottenere dallo Stato questo sussidio. Ecco allora i “Navigator” che, assunti a spese dei contribuenti, avevano il compito di trovare lavoro ai beneficiati del reddito statale. E la Legge prevedeva anche delle regole rigide: fino a che il lavoro non si trova, intanto si fanno lavori socialmente utili, gratuitamente. E poi, il lavoro bisogna accettarlo. Quindi si può rifiutare una, due volte, ma poi lo si deve accettare, anche se lontano da casa e non in linea con le proprie competenze. Se non lo accetti, il reddito finisce. Fine della teoria.
Dopo l’annuncio dal balcone pugnetti all’aria che la povertà era stata abolita, via alle elargizioni. Della Legge però funziona solo la prima parte, quella del sussidio. Quella del trovare il lavoro, produce risultati risibili. E chissà se i Navigator sono stati precisi nel segnalare chi rifiutava le proposte di lavoro? Questo non lo possiamo sapere. Ma dubbi possono sorgere. Per non parlare dei controlli che avrebbero dovuto essere fatti sui richiedenti, per verificare se, effettivamente, rientravano nei parametri richiesti. Sono sulle pagine di tutti i giornali le migliaia di truffe che hanno portato gente che non avrebbe avuto diritto a questo sussidio, ad ottenerlo, alla faccia della povertà sconfitta pugnetti all’aria.
La complicazione è sorta con la pandemia. Lo sconquasso economico che ha vissuto il nostro Paese ha consentito ai promotori di questa misura di civiltà di sostenere che, grazie a loro, migliaia di famiglie sono riuscite a sopravvivere alla miseria. Giusto in pratica, ma sbagliato nel mezzo. Ora però resta il duro compito, che il povero Draghi vorrebbe tanto svolgere, se solo glielo consentissero, di raccontare agli italiani la verità.
Il Reddito di cittadinanza, specialmente in Italia, è radicalmente sbagliato. In un’economia nella quale l’evasione fiscale continua imperterrita a depredare lo Stato di decine di miliardi di imposte, consentire che una persona possa percepire il RDC e contemporaneamente lavorare in nero o generare redditi comunque non dichiarati, equivale a lasciare borse piene di contanti incustodite per strada. Senza considerare poi che i lavori che si possono trovare spesso generano un reddito di poco superiore al RDC e, se non si obbliga il percettore del RDC ad accettarlo, abbiamo il paradosso che conviene rifiutare il lavoro e continuare ad essere nullafacenti, ricavando più o meno gli stessi introiti. E il percettore del RDC oggi non viene, nei fatti, obbligato.
In conclusione, sarebbe normale eliminare questa norma, e reintrodurre il vecchio REI, finanziato adeguatamente in modo che, chi effettivamente ha necessità, possa essere sostenuto dallo Stato. Aggiungendo grossi incentivi riservati a quei datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato percettori del REI. Perché non si fa? Perché la politica ci mette sempre lo zampino. I 5 Stelle ne fanno una questione di principio, essendo quella la “loro” norma.
Il PD, da quando ha deciso l’alleanza strategica con i 5 Stelle, se ne guarda bene dal parlarne male. Ogni tanto, qualcuno ammette che la norma andrebbe rivista, ma poi finisce tutto li. E i leoni da tastiera, sinistri duri e puri, insorgono appena qualcuno ha il coraggio di dire le cose come stanno.
Io citerei il vecchio Fantozzi. Il Reddito di cittadinanza è una corazzata Potemkin. Con la differenza che, pur essendo anche questo “una cagata pazzesca” sta drenando miliardi dalle già disastrate casse dello Stato. E allora, se proprio volete, cambiano nome al REI, lo chiamiamo “Reddito di cittadinanza 2.0” ma la facciamo finita con questa assurda buffonata. Io, almeno, la penso così.
(8 luglio 2022)
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