di Lorenzo Morello
C’è poco da fare, dopo “pandemia” e “allerta climatica”, ora è “guerra” la parola d’ordine (nonché la preferita) dei politici e dei media main stream. Coloro che in guerra ci vogliono a tutti i costi portare e che devono creare allarme a prescindere, infatti, da stamani parlano di guerra economica. Ma è davvero così? La risposta è no.
Il “Giorno della Liberazione” invocato dal presidente Donald Trump si è tradotto nella combinazione di due mosse: un dazio universale al 10% su tutti i beni importati, il livello più basso tra le opzioni considerate, e, in aggiunta, dazi specifici per aree economiche e singoli Paesi. L’Unione Europea, in particolare, sarà colpita da un dazio del 20%, mentre per la Cina l’aliquota salirà al 34%. Il “dazio universale”, infatti, si attesta al livello più basso tra le ipotesi che erano state fatte, mentre i dazi reciproci sono applicati con uno “sconto” del 50% rispetto alle tariffe subite dagli Stati Uniti: “Per le nazioni che ci trattano male, calcoleremo l’aliquota totale dei dazi e delle barriere non tariffarie che impongono, e applicheremo loro circa la metà di quanto ci hanno fatto pagare”, ha dichiarato Trump, “avrei potuto applicare dazi completamente reciproci, ma sarebbe stato troppo duro per molti Paesi. Abbiamo scelto un approccio più morbido, ma comunque deciso”.
L’impressione prevalente è che i dazi servano soprattutto da leva nei negoziati internazionali, più che rappresentare un cambio di paradigma duraturo nel commercio globale.
Si andatelo a spiegare ai Cottarelli o ad altri politicanti di turno che gridano alla disgrazia.
(3 aprile 2025)
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