di Vanni Sgaravatti
Pochi vogliono davvero studiare la storia di un luogo socioculturale e territoriale che influenza così tanto il contesto attuale e futuro della nostra Europa. Pochi sembrano accettare il consiglio di leggere i libri più che gli articoli, visto che sono i libri a riportare corpose bibliografie che possono essere controllate da tutti i lettori.
Allora provo a ripercorre in due parti, i passi che hanno contraddistinto questa storia, consapevole della superficialità di questa estrema sintesi, ma convinto che citarli possa servire alle persone interessate ad ulteriori approfondimenti.
L’Ucraina nella storia antica
Era fin dall’inizio una terra di commerci, una terra di passaggio, una terra fertile, quella attualmente indentificata geograficamente con la nazione Ucraina, che congiungeva il grande Nord con il Sud della Persia e dei Greci, che congiungeva l’occidente dall’Oriente. La terra di mezzo, la terra nera.
Abitata in antichità da popolazioni seminomadi, protoslavi, ugrofinnici, Cimmeri e Turchidi e, quando i Romani arrivarono, affacciandosi nel mar Nero, abitata da popoli iranici, dai Sarmati e dai Greci.
Erodoto scriveva di Alani dei Sarmati, dello spostamento nell’area degli sciti aratori, inizialmente in minoranza, rispetto ai sassanidi e agli iranici, che, però, successivamente diventarono dominanti e che poi si unirono con gli slavi occidentali e sudoccidentali, derivanti dalla popolazione dei Venedi.
Furono otto tribù slave su dodici che cominciarono ad occupare le terre di Kyiv, chiamata così dal principe di Kij, con il fiume emissario del Dnepr, Libed, dal nome della sorella. Territorio che fu attraversato, successivamente, da tribù che noi chiamavamo “barbari”: i gotones, gli unni (in bielorussia), Avari con i sottomessi protobulgari, poi sconfitti da Carlo Magno.
Questo coacervo di gruppi si formarono e si svilupparono i principati, tra cui Novgorod e quello della Moscova e, insieme, fecero parte del mitico popolo dei Kazhari, che lasciarono un’impronta di popolo e di governance multietnica particolare. Formavano, infatti, una collettività e un’identità che raggruppava tribù diverse, ma che trovarono una compattezza sufficiente a difendere quella terra e l’attuale Europa Occidentale dalle invasioni di musulmani e dei popoli di origini turco-iraniane.
La Storia nel medioevo: alcuni punti di passaggio
Gli slavi occidentali e quelli orientali si unirono ai Variaghi provenienti dal Nord, assorbirono i Kazhari, formando ancora una popolazione multietnica, unita sotto la dinastia dei Rurikidi, dal nome del condottiero e che prese il nome di “Rus di Kiev”.
I Rus di Kyiv, con Vladimir il santo della dinastia dei Rurikidi (poco santo per aver ucciso fratelli, donne, e, si dice aver promosso sacrifici umani, ecc), celebrato da Putin in Crimea per far capire che la madre della Russia era originata dalla piccola Russia di Kiev, si convertirono, per ragioni politiche, in accordo con Bisanzio, alla Chiesa cattolica ortodossa.
Al tempo del tentativo fallito di riunione delle due chiese Cattoliche di occidente e di oriente, quando Istanbul si chiamava ancora Bisanzio, Innocenzo IV elogiò la difesa dell’Europa cristiana da parte della popolazione Kieviana, che così facendo aveva fatto da barriera alle invasioni iraniche, ma soprattutto musulmane, formando di fatto un secondo limes, importante tanto quello che, secoli prima, costituiva il confine est dell’Impero Romano.
In anni recenti, Giovanni Paolo II parla di San Cirillo e San Metodio, provenienti da quelle terre, come difensori della fede e della cristianità dell’Europa occidentale
In quelle terre passava la via, detta dai Variaghi ai greci, che formava un confine, un limes, appunto, ma non tanto a difesa dall’Europa, che ancora non esisteva, ma a protezione dai Mongoli. L’arrivo, però, dell’orda d’oro mongola, nel 1240, decretò la fine della Rus di Kiev sottomettendo, in particolare il principato della Moscova e non del tutto quelli nell’area di Kiev, avviando quella separazione anche culturale, che formò due diversi modi di gestire il potere politico, più o meno accentrato, la cui eredità si sente ancora oggi.
I vuoti lasciati dall’impero mongolo, dopo il suo arretramento dovuto a conflitti interni e a sconfitte furono riempiti successivamente dalla Polonia e dal Gran Ducato di Lituania, che nel tempo diminuì il suo potere, la sua influenza a favore della prima.
Il territorio si divise in due parti, quello a ovest, con la Galizia e la Volodina che subiva l’influenza culturale e religiosa austroungarica e della Chiesa Cattolica dopo che con il trattato di Brest fu istituita la Chiesa Uniate, che pur mantenendo i riti di quella greco-ortodossa, faceva riferimento al Papa di Roma.
L’indebolimento del potere polacco-lituano, permise l’emergere dell’Etmanato Cosacco, che governò l’Ucraina centrale, fino a quando, sotto Pietro il terribile, lo zarato di Mosca riunì e sottomise i vari principati, lasciando una parziale autonomia all’Etmano. Una realtà territoriale autonoma, quella cosacca, che durò fino a quanto la Russia sottomise completamente il territorio, sotto la Zarina Caterina II, introducendo la servitù della gleba anche nell’attuale ucraina.
L’800 e il 900, l’Ucraina del tempo moderno
Dopo la Rivoluzione francese, i movimenti nazionali che pervasero l’Europa coinvolsero anche la gente di ucraina, dalla Galizia austroungarica, alle terre del Donbass colonizzate dalla Russia. Ci fu quindi anche in Ucraina un Risorgimento, che fu, al contrario di quello italiano, efficacemente represso dagli zar.
Poeti, storici e letterati ucraini non riuscirono a trasformare il loro movimento in una vera conquista politica, fino alla rivoluzione del 1917, in cui il loro contributo al cambio del regime zarista fu fondamentale. Al tempo del governo russo di Kerenskij, in Ucraina si formò la Rada, la prima repubblica Ucraina indipendente.
Successivamente, i bolscevichi di Lenin in Ucraina combatterono contro le armate bianche, ma anche contro gli stessi nazionalisti ucraini galiziani di Petljura e gli anarchici di Machno. Furono i contadini ucraini, che a quell’epoca non avevano una forte identità nazionale, a cedere alla proposta dei bolscevichi di assegnare le terre ai contadini (con la Nep: Nuova politica economica), alleandosi con i comunisti russo-ucraini, assicurando loro la vittoria.
In un primo tempo, l’ideologia leninista prevedeva una valorizzazione delle identità nazionali, che poi avrebbero dovuto sciogliersi in un grande stato socialista russo. In quella fase, per convenienza e in virtù di questa visione, Lenin lanciò la politica dell’ucrainizzazione e concesse libertà economiche e gli aiuti occidentali anche per rispondere alle conseguenze della prima carestia degli anni ‘20.
Quando Stalin arrivò al potere tradì il patto compreso nella Nep e decise di approfittare della carestia per sterminare gli Ucraini e, in particolare, quelli che nutrivano un sentimento nazionale. È l’holodomor degli anni ’32-33, con più di cinque milioni di donne e bambini costretti a morire di fame, senza aiuti e senza poter scappare. Un genocidio che ha lasciato segni profondi e incancellabili nelle generazioni successive.
Sono proprio i nazionalisti ucraini che, dopo la grande carestia, emigrarono e formarono una minoranza politica, che, sotto l’influenza dei fascisti italiani, combatterono i sovietici. Ma, solo una parte di questi (la metà del 7%: l’Oun-B) cercarono poi di allearsi strumentalmente con i tedeschi nazisti per liberarsi da coloro che erano stati i responsabili del genocidio ucraino. I tedeschi nazisti, però misero in galera quasi tutti gli esponenti di quella destra ucraina, reprimendo il popolo ucraino nella stessa misura dei sovietici.
Gli ucraini di quella destra nazionalista furono accusati di antisemitismo e qualcosa di vero ci fu, visto i diversi pogrom da una parte e dall’altra, che avvennero, anche considerando l’odio accumulato nel tempo verso gli ebrei, che avevano collaborato con i bolscevichi nel genocidio dell’holodomor.
Nel dopoguerra gli uomini del Kgb eliminarono fisicamente i reduci dell’Oun-B, così come i partigiani ucraini che avevano combattuto i nazisti.
Va tenuto conto che tutta questa storia fu rinarrata in tempi moderni, perché l’accusa di nazismo costituisse un fattore di aggregazione contro gli indipendentisti e di propaganda per la vittoria elettorale di Janucovich, l’uomo di Putin.
Ma quella piccola parte di Ucraini che, attorno alla Seconda guerra mondiale costituirono il nucleo di quella destra filonazista non fu in alcun modo paragonabile all’entità del fenomeno fascista in Italia, Spagna; nazista in Germania, in Ungheria, che furono appoggiati, anche se forzatamente, dalle relative popolazioni.
Negli anni ‘60, sull’onda delle rivoluzioni sessantottine in tutto il mondo, gli indipendentisti tornarono con un’idea di rinascita nazionale: patrioti, poeti, storici e scrittori, che, poi furono ancora una volta repressi.
La storia post-sovietica fino all’alba della rivoluzione arancione
La repubblica ucraina rinasce di nuovo con Eltsin. Kravchuk, dimessosi dal partito comunista, al momento del golpe russo del 1991 occupava un posto di potere nella nuova repubblica e riuscì a vincere le prime elezioni confrontandosi con Cornovil, l’uomo del cambiamento.
Kravchuk, concesse la nazionalità ucraina a tutti coloro erano residenti, così che l’ucraina indipendente risultò essere, come nel suo passato uno stato multietnico, che comprese i Tatari della Crimea, che rientravano in patria dopo l’esilio forzato.
Si pose allora la questione dei confini con Russia, a Sebastopoli fu concesso il permesso di passaggio alla flotta russa, con accordi che furono perfezionati nel 1999, stabilendo il trattato di Budapest, il patto che prevedeva la cessione di tutte le armi nucleari ucraine alla Russia da parte dell’ucraina, in cambio del riconoscimento e del rispetto dei confini internazionalmente stabiliti.
Ma dopo queste concessioni di indipendenza, in cui la Russia perse il carattere imperiale, Kravchuk tardò a fare le riforme costituzionali e la nuova legge elettorale. Per non scontentare la popolazione delusa ed in crisi, coinvolse il banchiere Simonenko, non compromesso con il regime, come primo ministro, rappresentante anche del partito comunista (solo 13%). Ma l’economia non partiva.
Molti del Komsomol (la vecchia organizzazione giovanile comunista) si impossessarono delle risorse dello stato per diventare gli oligarchi ucraini, con una assoluta commistione con gli incarichi politici e nessuna efficienza che permettesse alle aziende di competere e migliorare la qualità della vita ucraina.
Nel 1992, in considerazione della difficile situazione economica, venne chiamato al governo, Kukma ex membro del partito comunista sovietico e dirigente della più grande azienda di produzione di armi, che cominciò a governare per decreti, scontrandosi con il presidente Krachuk. Alle elezioni successive, Kukma diventò presidente e continuò a governare per decreti, varò la costituzione e la nuova moneta, nominò la Corte costituzionale, però non indipendente, ma rispondente al Presidente e istituì i governatori regionali di nomina presidenziale.
È da qui che emerge il sistema corruttivo pianificato centralmente (e non solo la corruzione diffusa). I lavoratori non venivano licenziati e, in cambio, i dirigenti avevano mano libera, non c’erano sindacati, gli stipendi ufficiali erano bassissimi e l’accesso ai servizi, o l’ottenimento dei permessi venivano concessi con pagamenti in nero, come anche una parte aggiuntiva allo stipendio. Anche i giudici venivano pagati e la camera di compensazione della corruzione era il parlamento, in cui i parlamentari, che godevano dell’immunità, venivano eletti dalle regioni, ed erano gli stessi oligarchi locali o li rappresentavano.
Kucma, nonostante fosse parte in causa, essendo il rappresentante degli interessi delle industrie minerarie e ferriere delle regioni del Donbass, con l’appoggio del genero, Pinkuk, il più ricco del paese, faceva da mediatore.
Cornovil, capo di un partito di opposizione cercò di combattere questo sistema ed era un candidato politico destinato a vincere le elezioni del 1999, ma, poco prima delle elezioni venne ucciso in un finto incidente stradale.
Il paese fu aiutato dal fondo monetario internazionale e, per questo, lo stesso Kucma si rese conto che le riforme erano necessarie e, per questo, coinvolse il banchiere Juscenko, che, in due anni, limitò la corruzione, semplificò la burocrazia, smantellò le grandi cooperative sovietiche, dando la terra ai contadini e l’economia ripartì.
Queste energiche azioni politiche, però smantellavano il potere di Kucma, che indisse quattro referendum che ampliarono i poteri del presidente, attribuendogli la possibilità di sciogliere il parlamento, senza un accordo tra le parti politiche e di controllare la stampa. Da quel momento diciotto giornalisti furono uccisi.
Kucma tentò poi di fare un accordo per entrare in UE in dieci anni, ma questo rimase carta straccia, perché la UE era scettica su Kucma e sulla sua affidabilità nel combattere la corruzione. Rafforzò, comunque i rapporti commerciali con la Polonia, facendo una propaganda che facesse passare i due paesi come vittime dei due totalitarismi, nazista e sovietico, nascondendo gli storici conflitti mortali tra loro.
Il potere di Kucma cominciò a scricchiolare, a seguito dello scandalo dell’omicidio del giornalista Gongadze, un vero eroe, che aveva fondato il giornale: “La verità ucraina”, il cui cadavere fu ritrovato, decapitato, tre mesi dopo e delle intercettazioni che attribuivano a lui la pianificazione dell’omicidio.
A seguito di questo orrore, nacque il movimento pacifista di: “Ucraina senza kucma”, in cui il leader Juscenko si schierò contro e che risultò il più votato, anche se non riuscì a trovare una maggioranza parlamentare per la frammentazione dell’opposizione, tra cui si era messa in evidenza la donna di affari Tymoshenko, rappresentante delle industrie del suocero, un uomo tra i più ricchi dell’Ucraina.
Emerse allora come politico, in grado di costituire una maggioranza, Janucovich, dirigente, uomo di Achmetov, l’oligarca dell’industria carbonifera e dell’acciaio (condizionato dall’FSB di Putin), che poi istituì una legge che definiva l’Ucraino lingua ufficiale, per poi promuovere l’idea, con l’aiuto degli agenti del FSB, che si stesse discriminando i russofoni (quasi tutti parlavano Russo per ragioni di storica imposizione di stampo sovietico).
Ma Janucovich non riuscì comunque a bloccare un movimento ucraino, che cominciarono a credere ad una propria indipendenza reale e senso di appartenenza nazionale, a cui i contadini, che raramente avevano appoggiato la lotta per l’indipendenza nazionale, pura e semplice, cominciarono a credere e a sentire.
Nacque così, da questo contesto, la rivoluzione arancione, l’evento che fece da base a tutti i successivi tentativi di ribellione e di rivoluzione, che furono gli elementi scatenanti del conflitto contemporaneo e di quella rinata coscienza identitaria nazionale e di appartenenza europea della maggioranza ucraina, che nella storia è stata troppo spesso repressa, seppellita e, talvolta, apparentemente scomparsa.
Da questa prima parte della storia, emerge come sia davvero strumentale e riduttivo immaginare il conflitto ucraino come fosse alimentato e provocato dalla occidentale Nato, che, per gli Ucraini, sono entità che stanno “dall’altra parte della luna” e, il cui imperialismo, non fu considerato dagli Ucraini un loro problema.
Se proprio vogliamo vedere una parte dell’America pre-trumpiana, di stampo putiniano, nella storia che precede il conflitto vero e proprio, possiamo considerarli come opportunisti pronti a schierarsi in relazione ai propri interessi, ma, certo non un soggetto che pianifica la provocazione “occidentale”. Almeno non in quel mondo.
Nel prossimo articolo si completerà la storia dell’Ucraina, in estrema sintesi, per punti, fino al giorno dell’invasione russa, ma, già da questa prima parte, emergono alcuni elementi di valutazione soggettiva (tralasciando la storia antica): la centralità della tragedia del genocidio per fame del 1932/33, nei rapporti tra Ucraini e Russi; la strumentalizzazione propagandistica del presunto nazismo ucraino, sulla base di alcune vicende all’epoca dell’invasione nazista; la lotta risorgimentale continua e costante da parte di un popolo che non ha mai smesso di credere nonostante che la situazione di terra di confine non abbia permesso un esito positivo alla loro lotta di indipendenza, come è stato per il risorgimento italiano (nell’inno nazionale, è contenuta la frase: l’Ucraina non è morta); il carattere multiculturale e non etnico della collettività ucraina; la lotta autonoma e solitaria per combattere il loro sistema improntato per anni alla sistematica corruzione e, infine, l’attrazione naturale e endogena verso l’Europa e i valori che, almeno idealmente, rappresenta.
Credo che abbiamo bisogno di quegli ucraini per migliorare la nostra Europa e difendere la democrazia. Probabilmente non abbiamo bisogno di quegli ucraini affaristi oligarchi o degli illegali che transitano per i nostri luoghi di malaffare e forse neppure di quel cinismo di ucraini che si rifugiano dove e quando possono, perché ormai non credono più a nessuna realtà nazionale del proprio paese.
Ma abbiamo bisogno di quelli che continuano a combattere per la propria libertà contro i nemici interni ed esterni, per risvegliarci dal nostro benessere da parassiti, per dirla alla Trump, o meglio dire, per risvegliarci dalla illusione di sperimentare una terra dei diritti senza la disponibilità a pagare e a lottare per difenderla in prima persona.
(30 marzo 2025)
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