di Vittorio Lussana
Ricapitolando: intorno alla risoluzione sul riarmo europeo, votata alcuni giorni fa a Strasburgo, il centrodestra italiano si è diviso in tre parti. Ma anche la sinistra si è divisa in 3. E due divaricazioni sono avvenute, addirittura, all’interno dello stesso Partito: il Pd. Perché la sinistra fa sempre così: deve far vedere che è più brava degli altri in tutto. Dimenticando Gramsci, il quale disprezzava la concorrenza tra singoli all’interno di una collettività, perché “nelle logiche di gruppo, il migliore finisce sempre con l’apparire come il peggiore”.
Tutto ciò è solamente sociologia ottocentesca per il Partito democratico, che ormai non trova niente di meglio da fare se non scindersi in rivoli e rigagnoli, tutti distinti tra loro. Che poi è quanto succede anche nelle trasmissioni di Formigli, dove gli ospiti sono quasi tutti di sinistra, ma riescono a litigare ugualmente.
E’ vero: anche il sottoscritto è di sinistra. Ma non è stata colpa mia: provengo da una famiglia culturalmente tale. Tuttavia, non appena ho capito di non essere totalmente squilibrato, mi sono accorto conto che noi, quelli aperti e progressisti, siamo gente veramente assurda. E’ un male cronico il nostro: siamo gruppettari. Lo si nota soprattutto negli ambienti artistici: la pensiamo nello stesso modo, facciamo tutti le stesse cose, ma non riusciamo mai a mettere insieme due gruppi di lavoro per realizzare un progetto qualsiasi.
C’è solo un luogo comune sbagliato, nei nostri riguardi: l’idea che ci sentiremmo una élite moralmente superiore. Non si tratta di questo: il nostro non è un atteggiamento arcadico, da appartenenti a una sorta di aristocrazia culturale, ma solo scoglionamento stratificato: quello di chi è stato costretto, per interi decenni, a dover sopportare le reazioni di pancia di tutti coloro che sono schiavi della pubblicità e del marketing.
Le sensazioni sono tribali, i sentimenti simbolici. Le prime discendono dal paganesimo politeista dei feticisti, che riducono ogni cosa a mero meccanismo; i secondi, da una continua rielaborazione che tende a complicare le cose. In fondo, è la stessa distinzione che divide i pazzi dai rassegnati: i primi si divertono come matti, appunto; i secondi, invece, hanno superato il pessimismo cosmico leopardiano per approdare sulle sponde dello scetticismo e della rassegnazione.
I primi sono dei dissociati ostaggi della caverna di Platone; i secondi, hanno capito che non c’è più niente da fare.
(14 marzo 2025)
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