di Giovanna Di Rosa
Il Delmastro furioso si scaglia con tutta la sua incauta verbosità – la condanna a otto mesi pena sospesa deriva anche da una certa incapacità a starsene zitto quando serve, diciamo – contro i maigstrati colpevoli di averlo condannato in prima grado, su tre gradi di giudizio previsti, perpetuando la strategia politica dal bau bau al can-can inaugurata sugli schermi televisivi da Augustissima Montaruli. Anche lei condannata, ma in via definitiva. E anche lei ancora in parlamento. Come Chiara Appendino: tutti predicano e poi fanno quello che vogliono.
Delmastro attacca i magistrati come da copione della destra dal 1994: “Io credo che esista una sola categoria che rivendica il diritto a non essere commentato, quella degli ayatollah”, dice riferendosi ai magistrati; credo che le sentenze si possano commentare, soprattutto quelle politiche che peraltro si commentano da sole – afferma incautamente perché qualcuno potrebbe ricordargli proprio che si commentano da sole – poi prosegue parlando di sé e solo di sé rivendicando un “Ho ricevuto un mandato preciso dagli italiani per riformare, fra le altre cose, anche la giustizia”.
Mandato che, Delmastro deve esserselo dimenticato, ha ricevuto la presidente del Consiglio – non abbiamo mai letto “Delmastro presidente” – che insieme alla coalizione ha stabilito un programma di governo, l’ha venduto agli Italiani, non ha rispettato praticamente nulla, e da mesi lo tiene inchiodato nella più totale immobilità di governo in nome di un’autonomia differenziata che non esiste, di una riforma della Giustizia di cui si parla solo per contestare le sentenze avverse (quando le sentenze sono favorevoli i giudici sono bravi, buoni e fors’anche belli) e di un ponte sullo Stretto già sparito dai radar in amore a Trump.
Ma la più grave dimenticanza di Delmastro è il non avere pensato che quando critichi gli Ayatollah, come spiega lui, vieni fatto fuori senza che ti sia dato il tempo di fare tanta filosofia da bar di periferia sulla giustizia giusta.
(22 febbraio 2025)
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