di Fabio Galli
Se qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che il mercato dell’arte in Italia sia considerato poco più di un’appendice folcloristica del nostro patrimonio culturale, il Decreto Legge Cultura discusso alla Camera il 3 febbraio 2025 ha fornito l’ennesima conferma. Un’occasione mancata? No, un capolavoro di immobilismo, quasi una performance artistica in sé. L’unica cosa che manca è l’installazione concettuale intitolata “Aspettando la Riforma”, magari con una sedia vuota posta simbolicamente in mezzo a Montecitorio.
Ma di cosa stiamo parlando? Per mesi si era discusso della possibilità di riformare il settore, di dare un minimo di respiro a gallerie, case d’asta e artisti emergenti, di modernizzare un sistema che ormai sembra uscito direttamente dall’Ottocento. E invece, come spesso accade, le grandi aspettative si sono schiantate contro la solita, solida parete dell’indifferenza politica.
Il decreto, che ora passerà al Senato per la conversione in legge entro il 25 febbraio, non prevede alcuna riduzione dell’IVA sulle opere d’arte, non tocca il complesso e farraginoso sistema delle notifiche, e non introduce alcuna misura concreta di sostegno agli artisti e ai professionisti del settore. Un pacchetto perfettamente confezionato per lasciare le cose esattamente come stanno, con buona pace di chi ancora crede che l’arte possa essere un motore economico per il Paese.
L’Iva resta al 10%: quando l’autosabotaggio è programmato
Uno dei punti più attesi della riforma riguardava la riduzione dell’IVA sulle opere d’arte. Attualmente, in Italia, l’acquisto e la vendita di opere d’arte sono tassati al 10%, un valore non catastrofico ma comunque poco competitivo rispetto agli altri Paesi europei. In Francia, l’IVA per le transazioni d’arte è al 5,5%, in Germania al 7%, nel Regno Unito—ancora uno dei principali hub del mercato—l’aliquota è ancora più vantaggiosa.
Questa differenza non è un dettaglio: il mercato dell’arte è globale, e i collezionisti, come gli investitori, vanno semplicemente dove conviene di più. Se comprare un’opera a Parigi significa risparmiare sul fisco, perché un grande collezionista dovrebbe mai acquistare in Italia? Eppure, il governo ha deciso che no, la riduzione dell’IVA non è una priorità.
Secondo il Ministero della Cultura, il provvedimento è stato bloccato per “ragioni di bilancio”. Ma è un ragionamento miope: un mercato più attivo e competitivo genera più transazioni, e quindi più entrate fiscali. Invece, si è scelto di continuare a perdere pezzi del mercato globale, mentre gli operatori italiani vedono sfumare sempre più opportunità.
Il Sistema della Notifica: un labirinto burocratico senza uscita
L’altro grande tema su cui si attendevano interventi era la riforma del sistema delle notifiche, ovvero quella meravigliosa invenzione burocratica che impedisce l’esportazione di alcune opere d’arte ritenute di “particolare interesse culturale”.
Ora, l’idea di proteggere il nostro patrimonio è sacrosanta. Il problema è che il sistema attuale è talmente opaco e arbitrario che scoraggia qualsiasi investimento nel settore. Un’opera che oggi può essere liberamente venduta all’estero, domani potrebbe essere bloccata da una notifica, senza alcun preavviso e senza criteri chiari. Il risultato? Gli acquirenti internazionali evitano di comprare in Italia, per paura di vedersi bloccare la loro opera, e i collezionisti italiani preferiscono vendere all’estero prima che sia troppo tardi.
Anche su questo punto, il decreto non ha fatto assolutamente nulla. Nessuna riforma della procedura, nessuna maggiore trasparenza, nessuna tutela per chi investe nel settore.
Gli Artisti? Chi li conosce?
Se c’è una categoria che esce completamente dimenticata dal decreto, sono gli artisti stessi.
Mentre in Francia, Germania e Regno Unito esistono fondi di sostegno, borse di studio e programmi di residenze artistiche finanziate dallo Stato, in Italia gli artisti emergenti vengono lasciati a loro stessi. Un giovane artista oggi ha due opzioni: provare a sfondare in un mercato interno che offre pochissime opportunità, o andarsene all’estero. Indovinate quale strada scelgono in molti?
Nel decreto non c’è alcun cenno a politiche di sostegno per gli artisti. Nessun incentivo alla produzione, nessun fondo per le residenze, nessun piano di internazionalizzazione per promuovere il talento italiano nel mondo. Se vuoi vivere d’arte in Italia, meglio che tu abbia un secondo lavoro.
Il mercato internazionale? Grazie, passo
Mentre il governo italiano ignora le problematiche del settore, il resto del mondo va avanti. Londra, Parigi e New York continuano a dominare il mercato globale, e le fiere d’arte internazionali diventano sempre più centrali per il commercio di opere.
L’Italia, con il suo immenso patrimonio artistico e culturale, avrebbe tutto il potenziale per essere un hub di riferimento. Ma tra tassazione svantaggiosa, burocrazia soffocante e mancanza di incentivi, il nostro Paese continua a perdere terreno. Le case d’asta italiane vedono calare il volume d’affari, i galleristi faticano a mantenere un’attività sostenibile e gli artisti sono costretti a cercare fortuna altrove.
Una legge che non cambia nulla perché cambiare spaventa
E ora? Il decreto passerà al Senato e, salvo improbabili colpi di scena, sarà convertito in legge senza particolari modifiche. Una volta approvato, non cambierà nulla. Il mercato dell’arte italiano continuerà la sua lenta agonia, mentre gli operatori del settore si vedranno costretti a trovare soluzioni alternative per restare competitivi.
Ma non preoccupiamoci troppo. Sicuramente a breve ci sarà una nuova conferenza stampa per ricordarci che “l’Italia è il Paese della cultura”. Con la differenza che, mentre noi continuiamo a ripetercelo, il resto del mondo lo dimostra con i fatti.
(5 febbraio 2025)
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