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Il pensiero [sic] di gruppo tra maggioranza e minoranza con bufale a dare sapore

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di Vanni Sgaravatti


Prologo


(“Davvero c’è un accordo tra Soros, Mastercard e l’Unhcr per dare una carta di credito ai migranti?” AGI)

Il 12 novembre 2018, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha diffuso un video sul proprio profilo Facebook (min. 0.15) in cui chiede nuovamente conto “di una cosa che è stata scritta sui giornali nelle ultime settimane: cioè che la polizia croata alla frontiera con la Croazia avrebbe trovato dei richiedenti asilo in possesso di una carta di credito che ha il logo della Mastercard, il logo della Unhcr e, da una serie di approfondimenti, parrebbe finanziata dalla fondazione di George Soros, cioè il famoso finanziere internazionale che fa di tutto per favorire l’immigrazione incontrollata”.

La stessa questione era stata sollevata dal parlamentare di Fdi Carlo Fidanza il 9 novembre 2018, nel corso di un dibattito televisivo in cui era presente anche la rappresentante italiana dell’Unhcr Carlotta Sami.

Nel suo video Giorgia Meloni critica (min. 1.45) l’Unhcr (l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei Rifugiati) per aver scritto al presidente della Camera Roberto Fico, in seguito allo scontro tra Fidanza e Sami, avanzando la richiesta alla politica di “moderare il linguaggio per non creare spazio per abusi e violenze”, invece di dare risposta sulla questione delle carte di credito per i migranti.

Quella delle carte di credito “pagate da Soros” è però una notizia falsa, un caso da manuale di disinformazione dove vengono mischiate questioni differenti per attaccare bersagli precisi (i migranti, l’Onu, Soros). È già stata smentita dall’Unhcr e da numerosi fact-checker italiani e stranieri: si tratta infatti di una bufala che è arrivata in Italia dopo aver avuto ampia diffusione in altri Paesi europei.

Ma andiamo con ordine.


La notizia originaria e la sua diffusione

Come nasce questa notizia? Secondo numerosi media, italiani e internazionali, la “notizia” originale proverrebbe dal sito sloveno Nova24, noto diffusore e fabbricatore di bufale che è conosciuto per i suoi contenuti xenofobi, complottisti, di estrema destra e antisemiti, tra cui la negazione dell’Olocausto, scrive Valigia Blu. Un sito che oltretutto, secondo il New York Times, apparterrebbe a una galassia di media finanziati da uomini d’affari vicini al presidente ungherese nazionalista e xenofobo, Viktor Orbán, per diffondere contenuti di estrema destra in Europa.

Il 30 ottobre 2018 Nova 24 ha scritto nel suo articolo, citando come fonte un reportage di inizio settembre della testata croata Kamenjar.com, che un non meglio identificato esponente della polizia croata avrebbe riscontrato che «un gran numero di questi immigrati clandestini è ben vestita e attrezzata – scarpe nuove, telefoni cellulari moderni, armi bianche, e molti hanno carte di credito MasterCard. Senza nome, ci sono scritti sopra solo il numero e il marchio Unhcr».

Non si tratta dunque di una fonte ufficiale della polizia croata, ma di una testimonianza verbale riportata in forma anonima.

In ogni caso, qui ancora non si parla di Soros, ma l’aggiunta del ruolo del finanziere spesso al centro delle teorie complottiste dell’estrema destra non tarda ad arrivare.


Riflessione

Il prologo richiama un discorso più generale, sul pensiero di gruppo su cui la propaganda, anche in assenza di propagandisti che la pianificano trova, come è ben noto, terreno fertile.

E va premesso che nei tempi di un sistema che crea loop comunicativi continui non c’è bisogno e sarebbe pure inefficiente mettersi a pianificare la propaganda politico culturale, basta stare seduti sul bordo del fiume e navigare le correnti che più si prestano alle proprie propensioni, con tanto di illusione di libero e discrezionale arbitrio.

La de-individualizzazione (confusione del senso della propria individualità con quella di un gruppo), le situazioni di non riconoscimento dei singoli tipico delle grandi folle, radunate di sera nella storia hanno comportato più facilmente il linciaggio (dagli studi effettuati).

Con più “buio” e maggior numero di individui compresi nel gruppo diminuisce la responsabilità e la consapevolezza individuale della propria azione. Con internet e nei social si amplifica a dismisura l’effetto “buio”.

Il contagio emotivo e il fattore di de-individualizzazione porta all’amplificazione estrema dell’errore fino all’orrore. Si parla tanto degli orrori del nazismo, ma molto poco di quelle folle di giovani che avvertivano un senso di partecipazione e un esaltante senso della vita in Germania prima della guerra, grazie ai segni identitari del collettivo nazionale. La particolarità è stata la dimensione di questo fenomeno dovuto a particolari caratteristiche storiche e socioculturali e la sperimentazione di strumenti tecnologici e di distruzione prodotti in serie.

Un pensiero inquietante si insinua, però, relativamente alle grandi folle, come quelle che popolano la Cina che non potrebbero autogestirsi o gestirsi con scelte decentrate. Verrebbe da pensare, cioè, che all’aumento delle dimensioni di un collettivo, come quello che dovrebbe affrontare problemi planetari, non ci sia altro tipo di governance di quella centralizzata e autarchica per contenere il rischio dell’effetto linciaggio e del caos di dimensioni veramente incontrollabili.

Ma l’emergere di fenomeni estremi di pensiero di gruppo è preceduto da una sottile e pervasiva cultura che ne determina le condizioni per lo sviluppo.

Il pensiero di gruppo è un modo rapido e facile per indicare il modo di pensare delle persone, quando la ricerca di conformità diventa talmente dominante in un gruppo coeso che tende ad annullare la valutazione realistica di condotte alternative.

Lo psicologo Janis qualche decennio fa elencava 8 sintomi principali del pensiero di gruppo: illusione di invulnerabilità, credenza nella moralità intrinseca del gruppo, razionalizzazioni collettive, stereotipi degli outgroup, autocensura, illusioni di unanimità, pressioni diretta su chi dissente e autonominate guardie mentali (componenti del gruppo che proteggono il leader dall’esposizione ad altri punti di vista). E quest’ultimo risulta particolarmente interessante perché fa intuire che il leader in una fase avanzata del potere, immaginato come la fonte del pensiero di gruppo, spesso è la vittima della chiusura mentale del sistema che ha creato.

Due sono i fattori di rischio dell’estensione del pensiero di gruppo: minaccia incombente (autoalimentata dall’idea che i cattivi stanno fuori) e contesto organizzativo malsano, cioè mancanza di cultura organizzativa, assenza di leadership imparziale, mancanza di eterogeneità delle caratteristiche di fondo e nelle ideologie dei componenti. Il cattivo, che viene visto come l’altro, all’esterno, porta a rafforzare l’omogeneità interna.

Quindi i fattori causali di rischio che alimentano gli 8 sintomi, a sua volta sono rafforzati sempre più dagli stessi sintomi prodotti.

Solitamente tutti attribuiscono agli altri il pensiero di gruppo. Spesso gli altri sono visti come soggetti condotti e sedotti dal mitico, quanto vago mainstream, che assume un profilo preciso nella testa di colui che si percepisce come osservatore indipendente e imparziale.

Ma nella storia il pensiero conforme è presente sia nella maggioranza che nella minoranza, spesso auto percepita come alternativa e dissidente, anche quando fosse rappresentato da politici che governano, tanto è radicato il bisogno di sentirsi vittime di complottatori.

Ma, se è nella maggioranza che il pensiero conforme è quantitativamente più diffuso, è nelle minoranze che la qualità del pensiero di gruppo è maggiormente radicato, non fosse altro per difendersi dall’ansia di essere invasi dal malefico mainstream.

 

 

(10 gennaio 2025)

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