di Samuele Vegna
Nel suo libro “Undoing Gender”, Judith Butler scrive a un certo punto che : “A prima vista, il termine “regolamentazione” sembra suggerire l’istituzionalizzazione del processo mediante il quale le persone vengono rese regolari. In effetti, riferirsi alla regolamentazione al plurale significa già riconoscere quelle leggi, regole e politiche concrete che costituiscono gli strumenti legali mediante i quali le persone vengono rese regolari”.
Ed è la regolamentazione che manca nel nostro Paese, per rendere regolari, e con pari diritti, le persone e le coppie omosessuali, è l’assenza di tutele che porta alle aggressioni omofobe delle ultime ore, e alle aggressioni quotidiane non denunciate. Tenersi per mano per due uomini o per due donne che si amano, che condividono progetti, sogni e speranze, non è regolare, non è protetto e non è accettato.
Quale eterno supplizio dovremo subire, noi omosessuali, quanto ancora ci saranno aggressioni fisiche e verbali da parte di chiunque?
Parlo di politica cosiddetta di sinistra, quella che dovrebbe rappresentare e non politicamente lucrare, su una comunità lgbtq+ troppo spesso dilaniata da emarginazione, discriminazione e violenza; di gay che con pieno diritti votano a destra ignorando di votare anche contro loro stessi; di gente dilaniata dalle droghe e dalla promiscuità in un paese che le discrimina con ferocia e dove sembrano non avere altra via d’uscita da solitudine e disperazione; di incosciente silenzio sullo spaccio di sostanze pericolosissime e di contributi a pioggia su un associazionismo che, con tutto il rispetto per i numerosi casi virtuosi, non fa abbastanza giracchiando attorno al proprio ombelico. Parlo di gay di successo ricchi, che vanno in tv, che hanno visibilità, o di quello che sono in parlamento ma che non hanno saputo nemmeno portare a compimento un diritto uno; parlo di tutti coloro che si riempiono la bocca di parole come diritti e uguaglianza e chiedo loro: come, dove e quando finiranno queste aggressioni, questi calci e pugni e nasi rotti e pestaggi soltanto perché ci teniamo per mano?
Come, dove e quando la nostra comunità legittimerà il risveglio delle coscienze porgendo sul serio la mano della solidarietà senza essere mossa dalla ricerca di un’onda mediatica, ma occupandosi seriamente di una ribellione al sistema del pensiero unico del nostro Paese, anziché dare del mitomane al primo che viene aggredito?
Non è sufficiente una manifestazione a Roma, ne serve una in ogni città; in ogni città serve non solo un gay pride, ma un risveglio collettivo contro le discriminazioni, contro l’odio, contro la violenza che portano al chemsex, contro la pigrizia di chi si ne frega di questi temi, alla riscoperta di un associazionismo sano che risvegli le istituzioni che non hanno gli strumenti o non vogliono averli per combattere questi fenomeni che vanno smascherati. Serve un risveglio indignato che ci porti come comunità a costruire i nostri diritti e la nostra dignità paritaria. Siamo da troppo tempo distrattə e divisə e sarebbe anche ora di divenire regolari, nel senso stretto e nel senso lato: due uomini o due donne mano nella mano che si baciano in una strada non deve essere più una cosa irregolare, un bug del sistema, perché il sistema, di per sé, è stato cambiato grazie alla forza irrefrenabile e mordace che ha sempre contraddistinto un movimento che, ad oggi, non esiste più.
Perché se il Gay Pride ha un suo senso, ne avrebbe molto di più protestare con più forza e con più autorevolezza, contro la repressione del dissenso, e del diverso.
(4 gennaio 2025)
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