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HomeGiustappunto!La Fiamma tricolore “vittima sacrificale” per l’approdo alla Terza Repubblica

La Fiamma tricolore “vittima sacrificale” per l’approdo alla Terza Repubblica

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di Vittorio Lussana

Anche noi auspichiamo che il Partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, elimini dal proprio simbolo la Fiamma tricolore, pur non nutrendo alcun fastidio per la presenza di questo richiamo al Movimento sociale italiano della prima Repubblica.

La Fiamma tricolore, infatti, discende da una serie di riflessioni che Benito Mussolini elaborò, in quel di Salò, insieme a Nicola Bombacci: un marxista disposto a tutto pur di realizzare il proprio ideale di rivoluzione sociale persino da destra. La Repubblica di Salò rappresentò l’ultima fase del fascismo propriamente detto, cercando un ritorno alle proprie origini socialiste e progressiste: non a caso, la forza politica che ne nacque si definì, per decenni, come “Movimento”. L’intento filosofico sostanziale, che del fascismo-regime mantenne solamente il corporativismo giuridico, fu quello di sopravvivere a se stesso immaginandosi più snello, meno appesantito dai compromessi, al fine di ritornare verso i più nobili ideali repubblicani e mazziniani.

Si trattò, insomma, di tutta una serie di buone idee e di ottime intenzioni formulate, purtroppo, con un certo ritardo. Mussolini si sentiva tradito sia dalla monarchia, sia dalla borghesia italiana, poiché aveva perfettamente compreso di esser stato utilizzato a lungo per il mantenimento dell’ordine, al fine di contrastare le forze di sinistra. Egli, inoltre, cercò di connotare il movimento in quanto sociale, al fine di contendere alle sinistre quello stesso terreno sul quale queste ultime si stavano, ormai, radicando. Tutte intenzioni rimaste a lungo sulla carta, poiché la nostra piccola borghesia non ha mai dato dimostrazione di grande lungimiranza: una tendenza ancora oggi esistente tra le fila della destra italiana, che attende sempre la  deflagrazione definitiva di ogni questione, prima di riuscire a prenderne atto.

In ogni caso, il simbolo della Fiamma possedeva – e possiederebbe ancora oggi – dei contenuti ideali e sostanziali. Il vero problema erano gli uomini con i quali realizzarli: vero cruccio di fondo di Mussolini, il quale ha sempre detestato i fascisti. Tuttavia, in politica ci si deve spesso accontentare di quel che passa il convento: se gli esaltati alla Pavolini e la retorica declamatoria del generale Graziani erano gli unici ingredienti a disposizione, in quel momento non vi erano alternative, seppur appesantite dagli errori del passato e incapaci di invertire una tendenza irriducibilista e crepuscolare. Tutte caratteristiche di cui esistono tracce ancora oggi, rispetto alle quali il Msi non è mai riuscito ad affrancarsi del tutto.

Sia come sia, il vero problema non è mai stata la Fiamma in sé. Al contrario, essa rappresentava il segnale più dinamico del neo-fascismo, permettendo a Giorgio Almirante il salvataggio di molte cose. Ma all’alba del 2025 si presenta, ormai, la necessità di uno svecchiamento definitivo, che giunga come un limpido segnale a tutti gli italiani. La Fiamma ha finito col rappresentare, a torto o a ragione, una certa retorica assertiva, un’idea di socialismo nazionale cinico e fatalista, che rischia ancora oggi di apparire democraticamente fuori luogo. Dunque, anche se a noi la Fiamma è sempre apparsa un simbolo, tutto sommato, simpatico e giovanilista, essa rappresenta la nuova vittima sacrificale sull’altare della necessario approdo al parlamentarismo democratico. Un passo abbastanza simile, se non addirittura speculare, a quello berlingueriano e, in seguito, occhettiano, verso cui la Storia dovrà decidersi, prima o poi, a rendere merito.

In termini sostanziali, qui si giunge a un punto filosoficamente cruciale: la trasformazione non dovrà essere la costituzione di un enorme contenitore clerico-fascista tout court, bensì dovrà caratterizzarsi per uno sforzo liberalpopolare nel senso sturziano del termine. Se il risultato sarà questo, cioè quello di una laicità priva di quelle contaminazioni formali derivanti dalla religione, forse riusciremo, finalmente, a ritrovarci tutti sullo stesso terreno di fratellanza nazionale e di solidarietà sociale. E si potrà finalmente aprire quella nuova era di dialogo fecondo tra liberalismo conservatore e laicismo riformista.

I macigni da aggirare, in buona sostanza, sono quelli rappresentati dalle due chiese: quella marxista e quella cattolica, nel loro schematismo ideologico. Esse sono divenute, infatti, due forme di sentimentalismo sociale che hanno ormai perduto le proprie connotazioni filosofico-teologiche. Se si riuscirà, da ambo le parti, a “non gettare l’acqua sporca con tutto il bambino”, tanto per utilizzare una locuzione tipicamente gentiliana, finalmente si potrà compiere un passo fondamentale verso quella pacificazione nazionale che tanto servirebbe a riunire l’Italia attorno a una serie di princìpi e di valori condivisi. Le religioni, sia nelle loro forme ideologico-sociali, sia in quelle teologico-moraliste, rappresentano sentimenti che si possono nutrire o meno. Ma esse possono anche diventare una gabbia soffocante, in grado di frenare pesantemente il libero cammino di un popolo.

Un po’ di religione ci vuole, nella vita. Ma si tratta di una spezia di cui dovremmo imparare a non abusarne, né a destra, né tantomeno a sinistra.

 

 

(22 novembre 2024)

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