di Vanni Sgaravatti
Il declino delle democrazie occidentali si sta completando e accelerando. I migliori rappresentanti di quel modello sono sempre più accerchiati: sono i grandi paesi dell’Europa continentale, a cui solo in parte appartiene anche l’Italia. Intendo per democrazia un sistema con adeguati autocorrettivi, a partire dall’indipendenza dei tre poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario, fino alla cultura della divisione dei ruoli tra chi decide, chi gestisce e chi controlla.
Per migliori rappresentanti intendo quelli che pubblicamente, esteriormente, teoricamente e formalmente sostengono valori come quelli scritti nelle carte istituzionali, con un certo grado di coerenza di sistema. Anche l’Italia ne farebbe parte, ma la cultura non solo della classe dirigente, ma di gran parte dei cittadini, in particolare quelli che non possono o non amano studiare ed approfondire, dà un’importanza relativa a questa etica di processo (indipendenza dei poteri e dei ruoli).
La visione tendenzialmente autarchica di Trump, sostenuto da una notevole maggioranza degli americani, notoriamente infastidito dalle regole degli scalda sedie di Washington, si salda con il potere oligarchico finanziario (Musk e Bezos). Un potere che c’è sempre stato, ma ora è particolarmente dirompente nell’era del capitalismo di sorveglianza e che una volta trovava un limite nelle norme adottate per erigere un fragile muro contro le saldature dei poteri, come fu la legislazione antitrust. A questa unione di poteri si aggiunge poi quello della Corte suprema che è composta da persone nominate dai repubblicani trumpisti, con una visione di rispetto dei valori morali tradizionali e delle classi sociali che meglio li rappresentano, nell’immaginario del sogno americano, un po’ esasperato quando viene interpretato dai cantori del suprematismo bianco.
Ma allarghiamo lo sguardo.
Come tutti sanno, dai reportage più che documentati, il timoniere Trump, che sembra non avere a cuore i destini di quella democrazia degli autocorrettivi istituzionali, è stato salvato a suo tempo dai debiti del suo casinò, frequentato dalla malavita di San Pietroburgo con 600 milioni di dollari dati dal suo amico Putin.
Sembra plausibile, quindi, che l’ulteriore degrado della democrazia americana (che, per intendersi, lo era, in parte ed in qualche misura, anche quando una parte dell’America già colonizzava il mondo, così come la democrazia Ateniese aveva degli schiavi) si saldi ora con l’autocrazia, dicasi oligarchia totalitaria della Russia di Putin e della Cina di Xi Jinping.
La pace, come si sente dire, o meglio il cessate il fuoco nelle zone più calde, potrebbe avvenire semplicemente perché potrebbero non esserci più le cosiddette egemonie in conflitto, a favore di un disegno di blocchi uniti da valori di fondo, quelli oligarchici di stato, conditi con alcuni elementi razionali, necessari alla negoziazione per stabilire le reciproche aree di influenza. Assomiglia alla restaurazione del Congresso di Vienna post-napoleonico. Ma questa volta a misura planetaria.
Il quadro, al di fuori della spartizione egemonica, che, per l’America, significa evitare il sorpasso, affiancandosi alle nuove egemone per poter costruire a proprio piacimento il controllo sociale dentro i propri confini, si colora di altri aspetti inquietanti (per me, naturalmente), con luci e qualche ombra per il gruppo dei nuovi signori del mondo.
Partiamo delle luci che illuminano il percorso totalitarista.
Si ritrovano nel sempre maggiore appoggio a Netanyahu, che si alimenta dalla giustificazione all’esistenza di Israele (e che non è una fantasia dittatoriale), dell’appoggio dato dall’Iran al disegno totalitario e per certi versi anche dall’India, governata dalla destra. E poi dai tanti appoggi africani, i cui abitanti hanno altre faccende a cui pensare (sfuggire alla morte) che arginare lo strapotere dei dittatori di turno, con un modello di democrazia della vecchia Europa. Poi possiamo prevedere una luce, conseguente alla capitolazione, mascherata da negoziati di pace, dell’Ucraina, nella sua lotta secolare (altro che decennale) per la propria indipendenza e per ritrovare quelle radici di cosmopolitismo persino rinvenibile nei mitici Kazari (altro che lotta decennale strumentalizzata. Un po’ di storia si potrebbe anche leggere), dopo anni di genocidi e di corruzione interna, imposta dall’esterno o meno. Una capitolazione che costituirebbe l’indebolimento orientale di quei confini che ci permettono di mantenere, al di qua di essi, un modello autonomo di democrazia, per quanto teorica sia. Un indebolimento del modello democratico che si salda con la nuova visione dello stato del governo ungherese di Orbán e della rinascita della dittatura turco-ottomana (i giudici sono di nomina governativa). Un indebolimento aggravato dall’accerchiamento totalitario dell’Europa, che spinge nel ventre molle, tutto italiano, considerato il sessantanovesimo paese nel mondo per libertà economica e per altre libertà.
Un paese, l’Italia, in cui lo storico detto: “Spagna o Francia basta che si magna” rappresenta un background storico popolare, che può sempre essere rinvenuto a supporto della difesa delle tante nostre comfort zone, la cui agevolazione ben si presta al mantenimento di zone di libero consumo per poter far girare un po’ di economia.
Del resto, troppi italiani non chiedono altro di essere “comprati”, tanto, nell’immaginario collettivo, questo lascerebbe comunque la possibilità di protestare e di consumare prodotti culturali alternativi (gli intellettuali), basta poter contare su un minimo di servizio sanitario universale e di un po’ di pensione. E poi, casomai ci fosse qualche tentennamento, si può sempre alimentare il clima di odio, muri e domanda di sicurezza con i flussi migratori. E le ombre, i sassolini che possono incrinare le progressive meravigliose sorti del capitalismo di stato, dove sono?
Qualche ombra, qualche contraddizione per i nuovi signori rimane in questo pianeta: prendere a bordo Netanyahu e contemporaneamente l’Iran, non è facile, visto che scaricare il secondo pare difficile. Però si può immaginare di andare avanti, perseguendo un vero e proprio negoziato, magari assegnando al signore dell’estremo oriente la tutela e la moderazione della politica estera iraniana.
Un altro sassolino nel disegno totalitario potrebbe essere rappresentato dai paesi nordici europei che, con maggiore consapevolezza di quelli centrali e occidentali, temono e contrastano questa “pace ucraina negoziata che guarda la realtà sul campo”, un altro modo per dire “armistizio imposto con le armi” (come si narrano le cose crea la storia). Un contrasto che potrebbe costituire un fastidioso intralcio nella spartizione tra le egemonie del pianeta e che non può però essere trascurato, considerando che la vera guerra sotterranea è quella “bianca” che si sta giocando tra l’Alaska, la Siberia e l’Artico, nei luoghi delle terre rare e dei minerali strategici.
Poi, tra i fastidiosi sassolini possiamo annoverare il problema delle migrazioni, sia per l’effetto positivo che i migranti, se fossero integrati, invece che respinti dai muri trumpiani, porterebbero ai conti occidentali per pagare le pensioni, sia perché, di fronte alla fame e schiavitù, non ci sono cannoniere in grado di contenere gli spostamenti nel mondo di 117 milioni di persone (altro che l’Italia). Spinte che mettono in discussione la fattibilità dei rimpatri, che altro non sono che una restaurazione del colonialismo, tornando al vecchio modello, quando i colonizzati erano obbligati a vendere le materie prime ai colonizzatori, le industrie a produrre nel paese colonizzatore e i colonizzati a comprare le merci elaborate da quelle industrie, con tanto di diritti esclusivi di ricerca e produzione.
Del resto, si può immaginare che l’oligarchia possa, una volta che fossero eliminati i poteri di correzione del sistema, senza fare troppo baccano, obbligare le persone a non emigrare. In fondo i sovietici l’hanno fatto con gli Ucraini nell’holodomor, il genocidio per fame di un popolo intero. Un po’ di storia insegna, suvvia.
La Chiesa dell’ex detenuto ed ex agente del Kgb
Poi, ancora un altro sassolino nel fulgido progresso dei totalitarismi potrebbe essere costituito dalle Chiese e dal loro richiamo morale, come inciampo verso la saldatura planetaria di quei sistemi. Ma l’unica Chiesa, che, sulla carta e, a mio avviso in particolare con Papa Francesco, risulta essere indipendente dal potere temporale costituito è quella cattolica. Le encicliche “Laudato sì” e “Fratelli tutti” sono pietre miliari difficilmente aggirabili. Per chi le legge, naturalmente. Per le altre Chiese – quella ortodossa russa, ad esempio, è retta dall’ex detenuto, ex agente del Kgb, in arte Padre Kirill, nominato in quel ruolo dal Putin – e quella islamica ritiene la Sharia una legge che debba ordinare la vita sociale dei cittadini, indipendentemente dal loro credo.
Ma, anche per la Chiesa Cattolica si possono rinvenire leve restauratrici di un ordine centrale, autoritario e conservatore. Sono quelle tanto volute dai nostalgici della Chiesa che “fu”, depositaria di valori tradizionali con procedure e ritualità che non devono essere comprese e tanto meno messe in discussione, per riportare i credenti ed i loro rappresentanti nei luoghi dove si guarda all’ultraterreno, alla benefica e importante funzione evangelica e di preghiera, ma dove la carità viene intesa come la raccolta dei fragili, sputati fuori da un sistema che non va messo in discussione: “date a Cesare quello che è di Cesare”. Altro che dottrina sociale della chiesa, come intervento attivo per modifica una società ingiusta che produce tante disuguaglianze.
È vero, ci sono altre ombre, altri sassolini e intralci, che potrebbero rendere non facile l’avanzata dei poteri totalitari, come i fattori destabilizzanti per la vita sulla terra, ad esempio il cambiamento climatico o l’ambigua alleanza con i sistemi di intelligenza artificiale per il controllo sociale, tutto talmente esplosivo che difficilmente si potrà risolvere con atti di imperio, reprimendo con la forza gli impatti sulla società: l’agricoltura che si fa solo di notte, le criticità sociali in India, dove, sotto appartamenti con piscine, ci sono file di persone con una bacinella per raccogliere gocce d’acqua dalle tubature che portano l’acqua a quegli appartamenti; la siccità e le guerre per l’acqua che aumentano esponenzialmente, la povertà alimentare. E ancora, la microplastica diffusa in tutti gli organismi del pianeta che peggiora la salute di più di 8 miliardi di persone, in cui sempre meno si ha la possibilità di una cura per tutti.
Sono catastrofi che, in termini storici e assoluti, hanno portato impatti socioeconomici, comunque, non paragonabili a quelli registrati nelle prime ere di sfruttamento coloniale, sia in termini di mortalità infantile, che di età media di vita, ma che assumono un significato diverso e dirompente per la coesione sociale, quando le tragedie e le relative disuguaglianze entrano nelle case e nella percezione di tutti.
Ma, forse, i nuovi signori della guerra, senza i tanti tentennamenti che la pretesa condivisione delle politiche democratiche comporta, pensano che useranno decisioni, anche coercitive per obiettivi illuminati, con lo sguardo rivolto al futuro dell’umanità, per risolvere problemi appartenenti all’etica planetaria. C’è da chiedersi, allora, dove sono stati questi sant’uomini finora. Del resto, non possiamo fare le vittime, se parliamo di invasione culturale del modello oligarchico. Non possiamo dire di non avere fatto altrettanto, quando le libertà democratiche o comunque le libertà di mercato hanno sedotto (nel senso etimologico di condurre a sé) paesi come quelli dell’est.
Forse, quindi, quando un intero sistema si sbilancia da una parte si autocorreggerà di nuovo verso il “centro”, ma di solito sono sterzate e correzioni di rotta che portano milioni di morti con popoli e sistemi che, come ubriachi o sonnambuli, camminano sull’orlo del precipizio dell’irreversibilità di un destino apocalittico.
Non è il momento di concludere quest’articolo con note di speranza che vanno trovate per chi crede ancora in un futuro democratico, e che deve guardare avanti, trovare quelle soluzioni che sembrano lontane. Quando sorge il sole nella mattina di tutti noi, occorre comunque muoversi, guardare avanti, come la gazzella ed il leone nel famoso proverbio della savana. Ma, al momento, occorre, per chi ancora coltiva speranze, magari emergenti dal “sottosuolo”, non distogliere lo sguardo dalla buia notte, anche per riuscire con pazienza a ritrovare una nuova alba che ancora non si vede.
Ha “da passa’ a nuttata”, direbbe qualcuno che di notti se ne intende, guardando con critica lucidità e resistendo all’abbandono nostalgico verso un mondo passato, umano e giusto, peraltro mai veramente esistito.
(10 novembre 2024)
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