“Mazón dimisión” è il grido che sale dalla moltitudinaria manifestazione dei cittadini valenciani che in oltre 150mila (130mila per altre fonti, oltre 200mila per alcune altre) stanno chiedendo a gran voce le dimissioni del presidente della Comunitat Valenciana che il giorno del disastro che ha lasciato 223 morti accertati e un numero imprecisato di dispersi, e una comunità devastata, aveva preferito – così raccontano i media spagnoli – terminare con calma il suo pranzo e poi arrivare alla riunione del comitato d’emergenza convocato per prevenire il disastro possibile e che aspettava solo lui, solo alle 19.
E’ la gestione allegrotta del potere che contraddistingue molti (troppi) dei baroni del Partido Popular che governa la regione con il piglio del “hago lo que me salga del cxxo” espressione volgarotta traducibile con il solito facciamo quello che ci pare, tanto comandiamo noi. Stavolta la faccenda è però serissima: Mazón difficilmente potra restare al suo posto dopo che il primo ministro Sánchez è stato preso a bastonate (da estremisti organizzati di destra estrema) e la popolazione ha preso a insulti Re Felipe e l’aurea Donna Letizia.
I valenciani scendono in piazza anche contro il governo centrale perché “El pueblo valenciano se ha visto durante cinco días abandonado a su suerte”, come scrive El País, i valenciani sono stati abbandonati a loro stessi per cinque giorni, tra le perle di saggezza di Mazón oinvitava, tra il serio e lo scocciato, i volontari a togliersi dai piedi per non intralciare i soccorsi quando erano loro, i volontari, gli unici che stavano prestando soccorso (gran brutta bestia l’arroganza dei potenti) e il governo di Sánchez che non riusciva a coordinare i soccorsi.
Di fatto si è visto che alla prova dei fatti sono stati invece proprio i militari e la protezione civile a sperimentare la fatica (l’incapacità?) di coordinarsi. Ora a Valencia si grida vendetta: mentre cumuli di automobili continuano a dare mostra del disastro, voragini sono aperte in mezza regione e non una seppur minima idea dei costi economici del disastro. E i cartelli gridano “Sono qui per quelli che non possono esserci”.
(9 novembre 2024)
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