di Vittorio Lussana
Non avendo assolutamente voglia di commentare le squallide situazioni in cui si infila, periodicamente, il Governo Meloni, tra arrampicatrici sociali e ministri innamorati, riprendiamo questo nostro spazio settimanale parlando di Elon Musk, il quale, proprio in questi giorni, ha subìto l’oscuramento della piattaforma X in tutto il Brasile.
Ovviamente, il grande magnate di Tesla ha gridato alla censura, mentendo spudoratamente. Elon Musk, infatti, già da tempo era stato invitato, tramite un’ingiunzione della magistratura brasiliana, a chiudere alcuni profili di estrema destra che diffondevano fake news. Si trattava di esposti e denunce che erano giunte già ai tempi di Bolsonaro, altra testa calda alla Donald Trump. Tuttavia, Elon Musk si era rifiutato di chiudere questi profili molto aggressivi, costringendo il giudice de Moraes a istruire un processo per i vari reati d’istigazione all’odio e di diffamazione perpetrati su X.
Ora, la legge brasiliana stabilisce che tutti gli atti di un procedimento giudiziario debbano essere notificati alla controparte, presso il legale rappresentante dell’azienda sottoposta a indagine. Questa procedura non è affatto strana: ci sono Paesi in cui lo Stato ti convoca direttamente a processo, con la nota formula: “Lo Stato contro Tizio e Caio”. E altri, invece, tra cui il Brasile (ma anche l’Italia, ndr) in cui le parti coinvolte in una causa legale, anche quelle costituitesi come parte civile, hanno il diritto di sapere in quale veste e per quale motivo debbono presentarsi in tribunale. Quindi, è obbligatorio nominare un rappresentante legale a cui notificare gli atti, che nel caso di Elon Musk era un’avvocata la quale, resasi conto di dover affrontare un processo già perso in partenza, ha respinto l’incarico, dimettendosi. Non potendo notificare l’atto, il giudice de Morais, titolare dell’inchiesta contro X, ne ha perciò disposto l’oscuramento.
Si badi bene: legalmente parlando, l’impuntatura di Elon Musk è una mossa non molto furba. Il Brasile, infatti, è molto popoloso ed è il quarto Paese come numero di utenti di X. In secondo luogo, se Musk avesse nominato, entro 24 ore, un nuovo consulente legale, come imposto per legge dall’ordinamento brasiliano – cosa fattibilissima per lui – il blocco della piattaforma sarebbe stato tranquillamente evitato. Viceversa, il riccone sudafricano non lo ha fatto. E le cose, alla fine, hanno preso la piega che tutti conosciamo.
Ma c’è di più. Elon Musk è, ormai, un attore politico a tutti gli effetti, che sta finanziando la campagna elettorale di Donald Trump. E’ una cosa, questa, che negli Usa si può fare: nulla da dire. Tuttavia, egli ha iniziato a postare sui social notizie totalmente campate per aria, accusando la magistratura brasiliana di voler impedire la libertà d’espressione. E, giacché c’era, ha iniziato a occuparsi della campagna presidenziale degli Stati Uniti in prima persona, accusando la candidata democratica, Kamala Harris, di estremismo di sinistra.
In un nuovo post dei giorni scorsi, per esempio, Elon Musk ha paragonato la consultazione per la Casa Bianca a un confronto tra comunismo e Donald Trump. Ma anche in questo caso, l’impressione generale è stata quella di un boomerang, lanciato da un bambinone assai poco esperto di campagne elettorali: non esiste, infatti, alcun esponente o deputato del Partito democratico americano che intrattenga rapporti economici – o di qualsiasi altro genere – con quei Paesi che ancora si richiamano al capitalismo di Stato marxista. Al contrario, è proprio Elon Musk ad avere rapporti diretti con la Cina popolare: la sua Tesla elettrica viene fabbricata proprio là, tramite una partnership stabilita nero su bianco con il governo di Pechino.
Per farla breve, il regime cinese, già nel 2017 aveva prima salvato Tesla dal fallimento che, per ammissione dello stesso Musk, era ormai “a un mese dalla bancarotta”. In seguito, la Cina ha concesso a Elon Musk numerosi incentivi e il permesso di costruire una giga-factory a Shanghai. Un’operazione che ha aperto a Tesla un mercato immenso non solo per vendere le auto elettriche, ma anche in termini di manodopera a basso costo.
Insomma, questa ingenua propaganda ideologica, basata su affermazioni totalmente arbitrarie e attribuzioni molto fantasiose – secondo i criteri fissati da Steve Bannon – è ancora convinta di riuscire a provocare una nuova ondata antidemocratica o di poter condizionare le elezioni presidenziali negli Usa. Senza accorgersi, però, che la situazione sta cambiando e che, dopo i disastri già provocati nel corso di questi ultimi anni, la marea demagogica è già entrata nella sua fase di risacca o di riflusso.
Perché le bugie hanno le gambe corte: lo sappiamo tutti, sin dai tempi in cui eravamo bambini.
(6 settembre 2024)
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