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Se i conti non tornano potremmo cominciare a contare noi

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di Samuele Vegna

La percezione è differente dalla realtà a volte, ma è spesso necessaria, e a volte l’intuito e l’stinto sono fondamentali per farsi un’idea propria che trovi casa nella coscienza collettiva. Le morti in Palestina, nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e nel sud del Libano superano il numero di centomila.

E’ una mia percezione (e mi guardo bene dallo spacciarla per notizia), ma il numero di trentacinquemila a me non è mai tornato: più di un milione di case rase al suolo, di ospedali abbattuti e di scuole in macerie, sono un numero importante che definisce qualcosa di più di trentacinquemila.

Non ci sono molte notizie attendibili da Gaza, nessuno ha smosso quelle macerie, nessuno le ha spostate – se non molto poche e sono un’enormità. Chissà quanti sono i corpi lì sotto, e ad oggi, non è ancora permesso l’ingresso agli ispettori della Nazioni Unite e a nessun giornalista; dunque, io mi sono fatto i conti da solo, in autonomia, come farebbe il signore che abita su uno dei pianeti del Piccolo Principe e passa il tempo a contare le stelle. Erano oltre due milioni gli abitanti di Gaza prima del 7 ottobre: ad oggi i rifugiati sono nemmeno un milione e mezzo. E sono comunque tuttə sotto le bombe, non c’è un luogo riparato dai raid degli aerei israeliani, da Beirut a Rafah. Non uno.

I conti non tornano, e se contassimo noi? Se pensassimo che invece non sono trentacinquemila ma anche di più? Non abbiamo le prove e non significa legittimare delle congetture; la prova ontologica, ovvero il “se pensiamo qualcosa allora esiste ed è vero”, non è concretezza, è un’astrazione volontaria. Però i moltissimi video nei quali si vede da quasi un anno che Gaza non ha acqua e cibo fanno riflettere.

Niente case, niente doccia, niente pane, niente più ospedali, scuole, indumenti, aiuti, da quasi un anno, moltiplicato per due milioni di persone ci cui il 50% formato da bambinə e ragazzinə, tenendo conto anche che già prima del 7 ottobre c’erano innumerevoli restrizioni al popolo palestinese.

Ma andiamo oltre, perché in realtà io mi occupo di libertà: la libertà d’espressione è anche un simbolo, è un qualcosa che va oltre la parola, è concreta; c’era una rotonda a Rafah, era un simbolo per il mondo arabo, per il popolo palestinese, era una porta storica, importante, bellissima a modo suo: come ogni simbolo della cultura e del popolo palestinese, università e moschee millenarie comprese, è stata abbattuta con i missili venduti e regalati anche da noi europei e dagli americani a Israele.

Pensiamo solo per un istante se ci bombardassero il Colosseo, o la Torre di Pisa : quanto sarebbe il nostro dolore, il nostro sfinimento, la nostra disperazione? Anche questo è regime: io ti distruggo i simboli che uniscono e identificano la tua cultura e il tuo popolo, oltre a uccidere. Questo, è fascismo. Questo, è riscrivere la Storia. Questo è cancellare la Memoria, e lo sta facendo Israele.

Non me ne frega un cazzo se mi daranno dell’antisemita perché sto raccontando di bombardamenti che sono una verità, ma credo che sia necessario passare per mostro, anche se non lo si è, ma far sentire la propria voce: prima o poi, tutto viene a galla, come mi ha detto il mio amico Giordano, il tempo è galantuomo, e premia sempre la sincerità e l’essere veri.

 

 

(2 luglio 2024)

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