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La retorica del Signor S.: “that’s the end”

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di V.S.

Non trovo interessanti molti talk show televisivi ed evito, se posso, di ascoltare certi oratori televisivi, in particolare quei predicatori che si reputano i portatori del pensiero anti-mainstream, con quel solito schema comunicativo ripetitivo fatto da “va là va là”, “ma di cosa parliamo”, “ve la raccontano”, così da apparire come coloro che accedono alle vere fonti della verità.

Inondano l’uditorio con considerazioni parziali, facendo passare correlazioni (associazioni spurie) come una prova provata del rapporto tra cause ed effetti, facendo leva su tutti i noti bias cognitivi, cioè scorciatoie per scambiare il plausibile con il vero e, soprattutto, nascondendo le ipotesi su cui i loro ragionamenti si fonderebbero.

Nell’era contemporanea, abbiamo avuto modo di vedere all’opera Grillo, che, almeno inizialmente, si occupava delle malefatte dei cda delle grandi imprese, delle collusioni tra politici ed imprenditor italiani, ma il signor S., per citare chi mi è balzato alle orecchie ultimamente, applica quella retorica alle tragedie umane. Mi sono deciso a commentare quanto ho ascoltato nella sua ultima intervista su La7. Non parto da una sorta di personale e freddo disappunto intellettuale nell’ascoltarlo, ma, lo ammetto, da un istintivo senso di rabbia, desolazione, tristezza e neppure parto dall’intenzione di attaccare intellettualmente chi la pensa così diversamente da me. Non ne varrebbe la pena. Forse cerco solo, scrivendo, di calmare questo personale senso di nausea.

Si parla del conflitto in Ucraina e il Signor S. dice che tutto parte dalle due superpotenze, una che invade per ragioni comprensibili, l’altra che permette alla nazione invasa di difendersi per merito delle armi superiori, che le verrebbero fornite. Naturalmente per interessi superiori in una specie di guerra per procura, cioè, sostanzialmente, in una guerra in cui i soldati combattono, indotti da qualcun altro. Faccio fatica ad individuare le specifiche motivazioni dell’egemonico “homo americano” tra le tante che potrebbero suonare come vere e che starebbero sotto a decisioni e comportamenti di una superpotenza e che, spesso, sono ricostruite a posteriori.

Le motivazioni dello yankee americano, quello con il sigaro in bocca immagino, non certo quelle dell’operaio del Colorado e tanto meno il blues man di colore di San Francisco, sono difficili da individuare: gli affari, gli amerikani li facevano già prima della guerra e molto di più, sotto la presidenza di Trump, favorendo e promuovendo colossali operazioni di riciclaggi di denaro, a partire, ad esempio, dallo scandalo della Banca di New York. Tutto frutto di una sintonia tra neoliberismo ed emergente capitalismo di stato orientale.

Il signor S. parla di una potenza russa che invade, ma lo farebbe perché provocata, mentre il popolo ucraino, senza alcuna propria autonoma volontà sociopolitica, semmai eventualmente sedotto dal consumismo della perfida Albione, sarebbe vittima di una propaganda nazionalista.

Per molti italiani, gli Ucraini non hanno un risorgimento a partire dal poeta Shevchenko nel 1800, ma solo un nazionalismo; gli Ucraini non hanno un Giorno della Memoria per ricordare il loro Olocausto, ma se lo fanno stanno solo rinvangando un passato lontano; gli Ucraini non hanno un’economia sommersa, ma sono dei corrotti. Mi viene in mente la battuta di Troisi sui Napoletani: loro non viaggiano, ma si spostano, loro emigrano. In fondo l’uomo con i baffetti lo aveva detto: gli slavi sono subumani e quando dal 7% degli ucraini, appartenenti alla destra, si staccò il loro 10% (lo 0,7% degli elettori) per chiedere di allearsi con Hitler per cacciare i sovietici, l’uomo con i baffetti li mise in carcere. Non ci si allea con subumani. Puzza di razzismo, ma non riusciamo a pensarlo in questo modo, non assomigliano per niente a Kunta Kinte

In realtà, il capitalismo ha sempre fatto affari con i dittatori, il problema, a cui si riferisce quando si parla di allargamento territoriale capitalista, è nato quando i cittadini dell’est volevano partecipare alle regole e ai benefici del capitalismo di sorveglianza, che a molti di noi suscita angosce politico esistenziali.

Sto facendo una caricatura del ragionamento del signor S.? Certo, ma uno dei punti, quello della guerra per procura, regge solo se non si attribuisce alla maggioranza del popolo ucraino una volontà di autonomia e libertà, così da evitare di pensare che questa, per loro, sia una guerra di liberazione.

Un altro punto del ragionamento del Signor S., come esperto di storia orientale, fa perno sui russi costretti a reagire nella terra che, in fondo, storicamente appartiene a loro, al di là dei confini e dei trattati internazionali. Gli ucraini, in realtà, secondo ciò che si deduce da quanto sostiene lo storico Signor S. si sentirebbero russi, se non fossero obnubilati dalla perfida seduttiva propaganda occidentale.

Lasciamo perdere la disanima di certe bestialità storiche, che, peraltro, ho già affrontato in precedenti articoli: “Il raccolto di dolore ucraino: qualche anticipazione storica” e “L’Holodomor: l’archetipo orientale di un Olocausto”, che parlano delle secolari lotte tra ucraini e russi, se non per citare velocemente qualche “titolo” che ricordi al Signor S. la complessità storica delle relazioni tra i due popoli: dalla repressione della cultura ucraina e del loro risorgimento, all’Holodomor e poi, in tempo moderni, alla rivoluzione arancione di Piazza Euromaidan, al rapimento da parte dei filorussi degli osservatori OCSE, che avrebbero dovuto controllare l’imparzialità del referendum in Crimea, alla fuga a Mosca del presidente filo putiniano Yanukovych, frutto di quello schema di imposizione imperialista russa che si sta ripetendo in Georgia.

Il signor S, lasciando ambigua l’ipotesi da cui parte, induce gli ascoltatori a pensare che per tutti sia ovvio che in Ucraina (non in Russia, per la precisione) si scontrino due lupi imperialisti che vogliono l’osso e che, per il Signor S. la maggioranza parteggia per quello a stelle e strisce perché l’altro, il lupo russo, Putin, secondo il popolo sedotto dal mainstream, è un cattivo dittatore. È solo desumendo questo dalle parole del Signor S. che si spiega poi la sua retorica, tesa a voler aprire gli occhi a questo popolo sedotto, dicendo loro che, se il lupo russo è cattivo, lo è stato di più anche quello a stelle e strisce.

Un unico lupo americano, compatto, coeso: a partire dalla guerra in Vietnam del secolo scorso, ad esempio. Anche se non può non venire in mente che erano americani anche quelli di Berkley, del ‘68, della beat generation, delle manifestazioni contro il Vietnam. Per proseguire, poi, andando avanti e indietro nella storia, senza soluzione di continuità, narrata e rinarrata a proprio piacimento, mettendo insieme gli orrori compiuti da quel lupo imperialista che, al dire il vero, non è proprio lo stesso, ma che si presenta con la stessa bandiera. E così ci mette dentro il bombardamento di Dresda, la bomba di Hiroshima, del Kossovo, l’invasione dell’Iraq, con spiegazioni che dimostrino la perfidia pianificata: non c’era bisogno per vincere (per il Signor S.), di fare tanti orrori, ma a loro serviva il terrore. Si poteva buttare la bomba sulle forze armate nella giungla, si potrebbero oggi distruggere i terroristi di Hamas con pochi uomini del Mossad, longa mano del lupo amerikano e invece no, il Signor S., con tanto di mimica oratoria, fa capire che le sue narrazioni sulle motivazioni sadiche di quel lupo sono evidentemente oggettive e senza bisogno di essere esperti di storia militare. Seguirlo in questi esempi storici, per mostrare narrazioni differenti, sarebbe accettare di fare il gioco dei buoni e cattivi, contrapponendo magari le stragi serbe di Srebrenica, i milioni di morti dei regimi, che, alla fine della seconda guerra, non volevano mollare e resistevano nelle Ardenne, come nelle giungle del sudest asiatico ed a Ivo Jima, gli orrori giapponesi in Cina.

C’è da perdersi a leggere eventi storici in chiave moralista per appoggiare una tesi o l’altra. E farlo diventa un altro orrore. Tanto il vero punto è che qualsiasi comportamento criminale del lupo, o meglio, in questo caso, dell’orso russo, non è comunque emendabile se l’altro (il cui rappresentante nelle democrazie cambia spesso, da Kennedy a Reagan), lo è stato altrettanto.

Non sono le qualità morali di una nazione, che viene assunta come soggetto umano con una sola anima e un solo corpo, che determinano le ragioni e la giustezza di un conflitto. Quando le forze alleate ci hanno liberato dai nazifascisti e abbiamo ritenuto fosse una cosa buona e giusta non lo abbiamo ritenuto sbagliato solo perché, chi veniva a nostro supporto lo ha fatto per motivi di loro interesse nazionale e tanto meno abbiamo valutato le regole di ingaggio utilizzate.

Il Signor S. dice che Ucraina e Russia dovrebbero essere messe alla pari, con uguali diritti e considerazioni, perché anche la Russia sta in Europa, facendo intendere che chi parteggia per l’Ucraina lo fa perché li sente fratelli e, quindi, dovrebbe nutrire lo stesso sentimento di fratellanza per i Russi. A parte l’ardita generalizzazione sul sentimento dei partigiani per l’Ucraina, il Signor S. non ha certo tempo di ricordare la differenza anche nella storia antica, a partire dalla lettera del Papa che, nel medioevo ringraziò l’Etmano di Kiev per aver difeso, come terza Roma, l’Europa cristiana dai demoni mongoli, di cultura nomade incomprensibile, che decapitavano gli abitanti delle città conquistate, che divisero gli slavi in due gruppi al loro declino. E una di questa, quella della Moscovia rimase sotto l’orda mongola, interiorizzando sistemi oligarchici di governo adatti all’ambiente delle steppe mongole.

E poi, il Signor S. ci ricorda che è un conflitto di due nazionalismi, dimenticando che sono due modelli completamente diversi: quello ucraino un faticoso tenere insieme culture ed etnie diverse attraverso una democrazia, tentata anche se non ancora compiuta e dall’altra un’oligarchia e imperialismo con un’etnia e una cultura dominante.

Certo non si può negare che era una guerra contro il nazionalismo quello che la Russia scatenò negli anni ’30 con l’Holodomor, la carestia terroristica ucraina, dopo che i rappresentanti e le istituzioni della cultura ucraina furono eliminati, torturati e deportati, in particolare chi si ostinava a parlare ucraino e non russo, ma non so se ha lo stesso significato che i sovranisti nostrani danno del nazionalismo. Quella tragedia fu un vero e proprio olocausto orientale, che non è mai stato oggetto di elaborazioni di sensi di colpa, di depressioni collettive, come quelle che hanno vissuto le generazioni europee dopo l’olocausto occidentale, quello nazista.

Ma poi il Signor S. insiste e dai palcoscenici televisivi offerti dal terribile “mainstream”, parla dei due sistemi egemonici, quello russo e quello americano, sicuro naturalmente di non andare in carcere, se pronuncia una parola sconveniente come guerra invece di operazione speciale.

Poi il signor S. appare un tantino incoerente quando insiste sulla perfidia americana che avrebbe potuto facilmente mettere all’angolo i Russi con le armi moderne di cui dispone, ma non le avrebbe concesse, così per mantenere vivo il conflitto e far fare tanti soldi ai mercanti di armi e, contemporaneamente sostiene che i Russi si troverebbero messi all’angolo e pronti ad usare le armi nucleari.

Ma qualche contraddizione dovrebbe emergere anche ai disattenti: le armi le hanno date, o non le hanno date? Hanno illuso gli Ucraini, fornendogliene, senza far loro comprendere l’inutilità della loro difesa di fronte al soverchiante potere russo; oppure gliele hanno fornite e sono state così utili e potenti da obbligare i russi a fare qualche strage di massa, sempre provocati dalla continua espansione dell’impero occidentale.

A dire il vero, è dal tempo della presidenza Obama che l’America si ritira, in Medio Oriente, in Libia, senza reagire in Siria dopo l’ultimatum che avevano dato al regime Siriano se avesse usato le armi chimiche, dopo aver abbandonato i curdi, lasciato che in Algeria il porto di Hamdani diventasse, per il 49%, cinese, così come il porto di Haifa affittato ai commerci della via della seta, dopo aver lasciato che i droni iraniani bombardassero l’impianto saudita di Abqaiq, dopo aver assistito impotenti alla perdita militare degli alleati in Sahel, Mail e Burkina Faso.

Qualcosa comunque non torna, al di là delle incoerenze di queste retoriche pseudopacifiste. Alcuni amici ucraini che sono nei pressi del fronte, mi fanno capire, rispetto alle tragedie e agli scheletri nell’armadio della loro storia come l’olocausto orientale, l’Holodomor, che russi non hanno compreso fino in fondo cosa fosse accaduto e tanto meno hanno chiesto perdono o hanno elaborato alcun lutto come hanno fatto i tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale. E che fino a quando non ci sarà questa rielaborazione sarà difficile una riconciliazione. Un sentimento che spinge lontano purtroppo il tempo della pace.

Sono tempi in cui si assiste ad una brutalità di ritorno, come dice il Cardinale Zuppi, in cui dovremmo credere nonostante tutto nella pace. E’ vero, infatti, che, se non credi nella vita, non credi in nient’altro. Purtroppo, anche il contrario suona come vero: se non credi in nient’altro, non puoi neppure credere nella vita. È un equilibrio complesso, una questione profonda, ma che non può essere utilizzata per lenire le legittime irrequietezze di chi sta nel proprio divano e vuole vedere nel mondo l’attuazione di un valore morale assoluto che dia un senso a tutto questo e tanto meno utilizzata da chi ne fa una bandiera per avere il consenso. E nello scendere dai principi alla prassi: come è possibile, allora, immaginare un Europa in pace, con un negoziato che individui un confine territoriale, che sancisca una cessione di un territorio ottenuto con una vittoria militare ed un apparato militare di controllo reciproco per la prevenzione delle minacce gli armamenti?

Ancora il mitico Signor S. dice che la fine della guerra è un obiettivo superiore a qualsiasi guerra, ma, una volta fatto un compromesso, un negoziato, fissato una linea di confine, se l’altro la superasse la guerra sarebbe giustificata? E se, invece, la guerra non fosse mai giustificata, anche nel caso di un negoziato non rispettato, allora, di fatto, dovrebbe essere una terra senza confini e senza negoziati o trattati. Ma sarebbe un pianeta in pace, se pur come utopia, o un pianeta in cui ancora di più governa il più forte?

E tornando dai principi alla pratica: quale sarebbe l’Europa, al di qua di questo confine? Un Europa che non solo ha dimostrato di non poter difendere gli stati del nord e confinanti con la Russia: Baltici, Polonia, Finlandia, Georgia, ma che, se dovesse conformarsi al principio del Signor S. (il nemico peggiore dell’invasore è la guerra stessa), non lo farebbe neppure in futuro.

Un Europa che non potrebbe certo accogliere le ragioni di una richiesta forte ucraina di elaborazione e perdono da parte dei russi per l’olocausto subito, quando quella superpotenza dovrebbe diventare potenzialmente un partner con cui negoziare e con cui si possono e si dovrebbero continuare a fare a patti. Gli Ucraini, in un Europa frutto di questo compromesso, o nelle macerie dell’Europa che fu, starebbero in quella terra di mezzo che non potrebbe essere l’Europa da loro sognata e non corrisponderebbe neppure alla loro terra, trasformandoli in fantasmi potenzialmente terroristi, insieme ai Ceceni, ai Georgiani e a chissà quanti altri. Ma noi pensatori e parlatori di quell’Europa occidentale, in cui non siamo obbligati a correre nei rifugi o vivere sottoterra, siamo già divisi e, quindi, abbiamo già perso, anche se probabilmente siamo tenuti insieme dalla condizione di polli in batteria da consumo, in grado di trainare le future esportazioni cinorusse. Siamo così attraversati da una destra conservatrice e neoliberista controllata e confinata da tante prigioni sovraniste ed da un altro arcipelago progressista e di sinistra, frammentato, anche per ragioni ideali. Ideali, in quanto dichiarate in buona fede, derivanti dal diverso modo in cui il mondo viene visto e interpretato da quell’arcipelago progressista.

Il mio umore, quindi, mentre finisco di scrivere, mi rimanda, persino con un po’ di nostalgia, a “That’s the end” e alla caverna del Colonnello Kurtz, in fondo alla quale mi appaiono due candele, che proiettano una luce fioca, quelle che ho trovato nella lettura delle due encicliche di Papa Francesco, Laudato si e Fratelli tutti, da cui trarre una visione che spinge alla pace, più che al pacif(inti)smo.

 

 

(28 maggio 2024)

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