di Samuele Vegna
“Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia: di doman non v’è certezza” scriveva Lorenzo De Medici. Spesso questa frase viene erroneamente attribuita a Dante, o persino al Leopardi o a Foscolo. Invece la scrisse un nobiluomo del XV secolo, probabilmente mentre si riprendeva dalla congiura dei Pazzi. Noi abbiamo in realtà poche certezze, e sono costitute da pochissimi principii quotidiani che dovrebbero essere rispettati collettivamente nella condivisione di tali principii che determinano una civiltà.
Invece questa mattina passeggiando dopo l’ennesima confronto con un problema personale che mi appesantisce, riflettevo sull’unica certezza che che c’è nel mondo: non si tratta della solita noiosa questione della morte – una cosa inaspettata, ma che arriva – e nemmeno delle tasse, perché sapete, il proverbio morte e tasse, vive e respira tra noi ma definisce un qualcosa che in molti evadono nel primo caso o eludono nel secondo.
Pensavo alla forza di gravità: la Legge di Newton al giorno d’oggi è una certezza insopprimibile, inindividuabile ma costante, che tutto governa e nemmeno ce lo ricordiamo così spesso. Una legge non scritta, ma indiscutibile. Questo per dire che non c’è diritto che non possa essere cancellato, non c’è legge scritta che non possa essere modificata, non c’è promessa elettorale che venga mantenuta, ma c’è una sola certezza, oramai, persino più certa della Terra stessa, di quell’intero globo terraqueo che potrebbe persino non essere un globo secondo alcuni, ma magari essere simile ad Asgard: regno di Odino e Thor e Loki; la solita certezza è che un essere umano necessita di certezze più di qualunque essere senziente, perché la vita è sia imprevisti ma molto spesso routine. Ciononostante l’unica cosa che non cambia è che tutto cambia.
Dunque c’è poco da stupirsi se la certezza di avere libertà personali insopprimibili si trasforma, e lo si vede quotidianamente, nella certezza che sempre più si tenterà di limitare la Libertà d’espressione, con il rischio che ci riescano pure.
A partire dall’antica Grecia, la libertà d’espressione era riservata ai potenti, l’esempio più noto è la morte di Socrate, che decide come ultimo atto di libertà la cicuta al posto dell’abiura dei suoi valori. Arriviamo al cristianesimo e alle sue pulsioni repressive contro chi voleva mantenere il proprio libero stile di vita – molto più libero nel mondo di prima, nonostante l’imperante analfabetismo che la Chiesa manterrà fino all’ottocento quando sarà investita del ruolo educativo nei collegi. Prima la Roma Antica spesso schiavista, per almeno un millennio, ma col senno di poi nemmeno così tanto. Poi il medio evo con il suo oscurantismo insieme enorme ostacolo (e enorme spinta) al progresso scientifico, per arrivare a chi sostiene – e ci guardiamo bene dal dargli ragione ad ogni costo – che senza la Chiesa ad ostacolare la scienza al giorno d’oggi vivremmo su Marte e la vita sarebbe molto migliore (anche se dove ci sono umani prima o poi qualche casino esplode).
Il sapere venne diffuso attraverso la stampa a caratteri mobili inventata da Gutemberg nel 1450, e venne per lo più utilizzata per diffondere la bibbia; poi la stampa diventò un potere e oggi dà più fastidio di ieri. Vedremo domani. Per ora si può affermare che dal viaggio di sola andata a Campo de’ Fiori di Giordano Bruno siamo passati a numerosi spostamenti tra studi d’avvocati, sedi di tribunali, procure e uffici Digos o di varie Polizia: parrebbe non essere cambiato molto, penserete. E invece tanto è cambiato: in meglio e in peggio. E un po’ anche grazie a voi, a mia nonna, a mia bisnonna, a mio pro-prozio, e ai miei antenati e anche grazie a tutti coloro che verranno dopo di me e non conoscerò. Nella solita lotta tra poteri contrastanti e punti di vista differenti.
Il punto sarebbe ascoltare, con lo stesso orecchio, quel grido di dolore che proviene non da oltre una linea immaginaria, ma dalla casa accanto, dal figlio della vicina, dalla moglie del dirimpettaio. Insomma dall’Altro che, vi racconto un segreto, non è un nemico che deve essere costantemente indebolito, annichilito, pestato e attaccato da chi si sente potente e gli va bene così anche quando sa di sbagliare. Si chiama protervia, ma non la affronteremo qui.
Noi qui stiamo parlando di restringimento della libertà, anche d’espressione: quella cosa che troppe e troppi scambiano per l’avere la possibilità di scrivere quello che chiamano pensiero su un social network e magari senza ragionarci su (mentre i proprietari delle piattaforme sulle nostre parole ci fanno i miliardi).
Secondo voi, ad esempio, il nostro pensiero sarà davvero libero in un luogo di proprietà di qualcun altro, in casa d’altri?
Del resto ne parliamo un’altra volta. Promesso.
(13 maggio 2024)
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