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Elezioni Europee: tutti in lista, purchessia

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di Claudio Desirò

Che gli appuntamenti elettorali appassionino sempre meno gli italiani è ormai un’evidenza che si conferma sempre più ad ogni occasione, anche a causa di una politica che sembra distante dal Paese reale, concentrata sulle lotte di bandiera, utili a raccattare consenso a basso sforzo intellettuale. Un trend politico che si conferma anche nel prossimo appuntamento con le Elezioni Europee del 8 e 9 Giugno, in cui si rinnoverà la rappresentanza all’interno dell’unico Parlamento al Mondo privo di potere legislativo.

Un appuntamento privo di appeal, cui i partiti stanno mostrando il peggio di sé nella compilazione delle liste dei candidati, che assomiglia più ad un casting per un reality show, piuttosto che ad una selezione dei migliori profili possibili da sottoporre al giudizio delle urne.

Se nelle scorse settimane si è assistito alle polemiche per i leader di partito candidati alle europee, scelta definita come una presa in giro da due leader, Calenda e Renzi, che alla fine si candideranno anche loro (coerenza, questa sconosciuta), nelle ultime ore, si sono accesi i riflettori sui candidati veri che, purtroppo, rischiamo di mandare a rappresentarci in Europa.

Sul generale leghista si sono spese fin troppe parole e, forse, se da sinistra si fossero astenuti dall’attaccarne così pervicacemente il libro, oggi sarebbe un perfetto sconosciuto lontano da qualsiasi possibilità di candidatura. Invece, lo si ritrova in lista, imposto da Salvini, in una manovra che assomiglia al canto del cigno del leader leghista, sempre più carente di consenso. Di quelli che saranno i risultati e di ciò che ne sarà della Lega lo scopriremo dopo le Europee, ma certo la candidatura del generale non è l’unica utilizzata per nascondere l’assenza di contenuti e dibattiti.

Salis, ad esempio, candidata dalla sinistra radicale per il merito di essere attualmente sottoposta a regime di carcerazione preventiva in Ungheria, dopo essere partita dal nostro Paese per cercare di impedire con ogni mezzo, anche violento, una manifestazione autorizzata in altra nazione. Evidentemente, per alcuni, queste azioni rappresentano grandi meriti ed alto profilo istituzionale, tali da portare ad avere una candidatura a Bruxelles. Certo, dalle parti di AVS, tanto attenti alla condizione carceraria ungherese, ci si aspetterebbe la stessa attenzione per gli altri 2000 nostri concittadini attualmente in carcere in qualche Paese straniero, o per tutti i detenuti attualmente all’interno del nostro disastrato sistema carcerario. Invece, oltre la Salis, il nulla.

Davanti alla candidatura ideologica dell’alleato Fratoianni, anche il PD sardino-grillico non ha voluto essere da meno e, dopo aver strillato contro il pericolo di un disimpegno dal sostegno all’Ucraina in caso di vittoria del centrodestra alle politiche del 2022, presenta in lista, anzi una addirittura come capolista, almeno due candidati di rilievo, dichiaratamente pacifinti e contrari al sostegno a Kiev contro la criminale invasione di Putin, ovvero Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Una scelta che conferma la deriva populista e radicale di un PD, sempre pronto ad alzare il dito e la polemica contro i propri avversari, ma che dovrebbe guardare in casa propria e riflettere profondamente sulla deriva populista ed ideologizzata che ne attanaglia la segreteria. E davanti al pacifintismo piddino, l’alleato di riferimento Conte, non ha trovato di meglio che inserire l’hashtag “pace” nel simbolo del suo movimento. Una manovra molto social per provare a portare qualche like sulla scheda elettorale, prevaricando il diritto internazionale e strumentalizzando i sentimenti di pancia dell’elettorato.

Hastag e nomi risonanti, utilizzati per titillare il pancino delle proprie residue basi, nella speranza di raccattare qualche voto in più, con buona pace dei contenuti, delle idee, della qualità.

 

 

(2 maggio 2024)

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