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Putin, la spia che puntava a destabilizzare l’Occidente

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di Vanni Sgaravatti*

Occorre, capire cos’era Dresda negli anni ‘80. L’importanza del contrabbando delle tecnologie occidentali aveva come centro Dresda, non Berlino. Era sede della Robotron, il più grande produttore di elettronica della DDR, che era riuscita a clonare l’IBM, come disse Franz Sedelmayer, un consulente della sicurezza della Germania Ovest. Dresda era anche il centro della Kommerzielle Koordinierung, soprannominato Koko, un dipartimento del commercio estero che importava prodotti high tech e aveva il compito di procurare valuta forte occidentale, tramite il contrabbando.

Quando Putin arrivò, il Kgb era intento a reclutare spie in tutte le aziende Siemens, Bayer, Messershmidt, Thyssen e nelle università (Belton, op.cit. pag. 52). Robotron l’azienda high tech era il produttore di elettronica più importante. Gli uomini d’affari occidentali ospitati in alberghi di lusso, venivano fatti incontrare con giovani spie, filmati e ricattati.

Horst Jelmich, il capo della Stasi di Dresda racconta come il Kgb bypassava la Stasi che non sapeva nulla delle operazioni, tant’è vero che i nomi usati da Putin nelle operazioni a Dresda da lui raccontate agli studenti, Platov, Adamov, non erano a loro noti. L’unico uomo della Stasi che lavorava a stretto contatto con Putin era Mathias Warning, che, però, in seguito, sarebbe entrato stabilmente nell’entourage di Putin, facendo parte di una cellula del KGB, organizzata da Putin a Dresda (Belton, op. cit. pag. 53).

Gran parte di ciò che Putin fece negli anni di Dresda rimane avvolto nel mistero. Il KGB si dimostrò molto più efficace della Stasi nel distruggere e trasferire documenti prima del collasso. Come riporta Belton, Jemlich ha successivamente confermato che Putin era diventato il principale agente di collegamento fra la Stasi e il direttore della sede locale del kgb. Il documento di riconoscimento della Stasi di Putin gli dava, peraltro, libero accesso agli edifici dell’Ente, senza il bisogno di dichiarare la sua appartenenza al kgb, così da rendere più facile reclutare agenti.

Putin ovviamente, abituato a attività di travestimento e a tenere profili understatement, cercava di sviare i sospetti sulla sua attività a Dresda, raccontando le noiose attività lavorative ed extra di routine.

Ma un membro del gruppo di estrema sinistra Rote armeé Fraktione (Raf), dichiarò di averlo incontrato a Dresda, che Putin lavorava per sostenere la cellula che seminò il terrore in Occidente tra gli anni ‘60 e ‘80.

I servizi di sicurezza sovietici avevano capito, fin dagli anni ’60, che la propria forza stava nella disinformazione, nella diffusione di false voci sui media per screditare i leader occidentali, nell’assassinio degli oppositori politici e nel sostegno organizzazioni di facciata che fomentavano guerra nel terzo mondo e indebolivano l’occidente, seminando discordia. Ed è esattamente una specialità che continuano ad esprimere tutt’ora.

In tutto il Medio Oriente, il Kgb aveva stabilito legami con numerosi gruppi terroristici di ispirazione marxista leninista, oltre al fronte popolare per la liberazione della Palestina che sequestrò una serie di aerei e condusse attacchi dalla fine degli anni ‘60 e ‘70.

L’ex direttore dell’intelligence internazionale rumena Ion Mihai Pacepa, che divenne l’ufficiale di più alto in grado dell’intelligence orientale a passare agli Stati Uniti, era stato il primo a parlare apertamente delle operazioni del KGB con i gruppi terroristi.

Pacepa, come riportato da Catherine Belton nel reportage “Tutti gli uomini di Putin” Editore La Nave di Teso (da cui molte testimonianze sono state tratte), scrisse che l’ex direttore dell’intelligence internazionale del kgb gli aveva spesso confidato: “nel mondo d’oggi in cui le armi nucleari hanno reso obsoleta la forza militare, il terrorismo dovrebbe diventare la nostra arma più importante”. Pacepa aveva asserito anche che il direttore del kgb, Andropov, aveva lanciato un’operazione per alimentare il sentimento antisraeliano e antiamericano nel mondo arabo e che, nello stesso tempo, aveva ordinato di scatenare i terrorismi nazionali in Occidente

I Documenti top secret trovati negli archivi del Politburo sovietico mostrano che il direttore del kgb di allora, Andropov, considerava il sostegno al terrorismo internazionale uno dei servizi più importanti per la Stasi e per il kgb (Belton op.cit. pag. 61).

Nel frattempo, la Raf in Germania ovest, nota anche come banda Baader Meinhof, uccise il direttore della Dresdner Bank nel 1977, una banca fondamentale per il riciclaggio e il trasferimento e occultamento di denaro.

Alla fine degli anni 70 quando la polizia della Germania ovest intraprese una campagna di arresti, la Stasi cominciò a fornire rifugio ai membri del gruppo, come ha detto il consulente per la sicurezza tedesco Frank Meyer, dando loro nuove identità, oltre a gestire anche dei campi di addestramento dal 1983 al 1987 (Belton op. cit. pag. 62).

Questo era l’ambiente in cui lavorava Putin e combaciava con la storia che l’ex membro della Raf aveva da raccontare. Secondo lui negli anni in cui Putin prestava il servizio nella Germania est, lui divenne il punto incontro per la Raf.

Come racconta la Belton, un ex membro della Raf, racconta: noi ci siamo incontrati lì, a Dresda più o meno una dozzina di volte con altri membri del gruppo terroristico. Un nostro uomo arrivava va in Germania est col treno e veniva accolto da agenti della Stasi che lo aspettavano a bordo di una grande Zil, lo portavano a Dresda e venivano raggiunti in una casa sicura da Putin ad altri suoi colleghi che Kgb. Non ci davano mai istruzioni direttamente. Dicevano solo: “abbiamo sentito che state progettando questo come pensate di fare?” E fornivano consigli suggerivano altri bersagli e ci chiedevano di cosa avessimo bisogno. Noi avevamo sempre bisogno di armi e denaro, sicché davamo a Putin e colleghi un elenco e chissà come questo elenco finirà poi nelle mani di un agente ad a ovest e le armi richieste venivano depositate in una località segreta dove i membri della Raf andavano a ritirarle. Putin era fra i leader in quell’incontro ha dichiarato l’ex membro della Raf, un generale della Stasi prendeva ordini da lui.

Uno di questi attentati si verificò poche settimane dopo la caduta del muro di Berlino. Alfred Herrhausen, presidente della Deutsche Bank saltò in aria con la sua auto. L’attacco era stato condotto con precisione militare, la tecnologia impiegata dalla massima sofisticazione e non poteva che essere stato organizzato da uno stato.

Herrhausen era stato un gigante della scena economica tedesca occidentale uno stretto collaboratore del cancelliere della Germania ovest e l’attacco giungeva proprio quando la riunificazione era diventata una possibilità concreta e questo era un processo in cui la Deutsche Bank poteva guadagnare enormemente dalla privatizzazione delle imprese statali della Germania est.

Sempre secondo l’ex membro della Raf, l’attentato fu organizzato a vantaggio di interessi sovietici, quelli di togliere di mezzo un concorrente della Dresner Bank, infiltrata dal Kgb nell’accaparramento di fondi, che sarebbero arrivati dalla privatizzazione delle industrie della Germania est e avrebbero permesso di nascondere i fondi neri del Kgb in Occidente.

Putin minimizzava il suo ruolo a Dresda, ma non si spiega come gli mancassero solo sei mesi per ottenere la pensione quando diede le dimensioni a 39 anni, pur essendo molto più giovane dei suoi pari grado che andavano ufficialmente in pensione a 50. Il Kgb concedeva pensionamenti anticipati a coloro che avevano prestato un servizio speciale alla patria in termini di rischio o di onore: Putin era dunque vicino a ottenere la pensione a causa dell’alto rischio che comportava lavorare con la Raf. Altre verifiche sono difficili da fare perché tutti i compagni del Raf sono morti o in prigione. Lavorare con i terroristi della Raf costituì forse l’addestramento principale di Putin alle misure attive contro l’occidente imperialista.

Molti anni più tardi Klaus Zuchold uno degli uomini reclutati da Putin nella Stasi offrì qualche dettaglio sul coinvolgimento di Putin (Belton op. cit. pag. 68), a testimonianza del suo ruolo pienamente operativo, come quando, ad esempio, si operò per ottenere uno studio sui veleni mortali che lasciano poche tracce, obbligando l’autore a lavorare per lui, collegandolo a materiale pornografico.

Fu con l’operazione Luc che il Kgb perseguì l’obiettivo di nascondere risorse finanziarie, spie, reti di sostenitori, nella fase di crollo dell’impero sovietico, per poter riemergere nel momento opportuno. Consapevole del rischio che il comunismo crollasse a metà degli anni 80, il Kgb lanciò l’operazione per prepararsi alla possibilità di un futuro cambio di regime.

Nell’agosto 1988 il Kgb mandò un alto ufficiale, Boris Laptev, a dirigere l’imponente ambasciata sovietica a Berlino est. Ufficialmente, la missione di Laptev consisteva nel creare un gruppo di operativi che lavorassero in segreto al fianco del Kgb ufficiale per infiltrarsi nei gruppi di opposizione della Germania est e raccogliere informazioni sul movimento di opposizione, per prevenire ogni mossa verso la riunificazione tedesca. Ma, in seguito, ha dichiarato che, man mano che le proteste anticomuniste crescevano e diventava sempre più evidente l’inutilità di quegli sforzi, il gruppo cominciò a concentrarsi sulla creazione di una nuova rete di agenti che potessero addentrarsi nelle seconde terze file del mondo politico della Germania (Belton op. cit. pag. 68).

Stavano cercando agenti che potessero operare sotto copertura per i russi anche in una Germania riunificata, non macchiati da aver svolto ruoli dirigenziali prima del crollo.

Nel 1986 Mark Wolf, il venerato e temuto direttore della Stasi, rassegnò le dimissioni ponendo fine al suo regno nella temuta unità di intelligence internazionale della Germania est, dopo aver autorizzato progetti per formare una squadra di agenti di élite per mantenere il potere dopo la fine del regime. La fase più importante di questa operazione cominciò quando si prese a trasferire denaro, attraverso le reti di contrabbando, grazie a una serie di aziende occidentali, allo scopo di creare dei depositi segreti per poter continuare a operare dopo la caduta del governo. E questi trasferimenti finanziari ebbero luogo all’epoca in cui Putin prestava il servizio come principale agente di collegamento fra il kgb e la Stasi a Dresda. E’ noto, ad esempio, il ruolo del miliardario austriaco Martin Shlaff che successivamente risultò essere a capo di una rete di aziende europee, che costituivano un ingranaggio fondamentale nelle operazioni di propaganda del regime di Putin.

Putin e gli altri agenti del Kgb a Dresda riuscirono a convincere uno dei loro colleghi della Stasi a consegnare loro la maggior parte dei documenti sul loro lavoro, prima che i manifestanti penetrassero nel loro quartier generale. Il collega di Putin ha raccontato che un agente della Stasi diede tutti i documenti a Putin e nel giro di poche ore di essi non rimaneva altro che cenere. Ci furono distruzioni di così tanti documenti da far scoppiare la caldaia (Belton op. cit. pag. 67).

Nei giorni successivi, mentre si preparavano a lasciare Dresda, Yuri Drozdov, il potente direttore del dipartimento delle attività illegali del Kgb, il leggendario ufficiale incaricato di controllare l’intera rete globale di agenti infiltrati sotto copertura, incontrò Putin, prima del suo rientro in patria. Successivamente, dal suo ex mentore e capo, il colonnello Lazar Mattveev ricevette l’ordine di non restare a Mosca, ma di tornare a Leningrado dove, per la prima volta i democratici, minacciavano di togliere i comunisti il controllo della maggioranza (Belton op. cit. Pag. 70).

Invece di difendere la vecchia guardia contro l’ascesa dei democratici, Putin cercò di appoggiare il movimento democratico di Leningrado. La storia di come e quando Putin diede effettivamente le dimissioni, di come andò a lavorare per Sobcak, il sindaco di San Pietroburgo è la storia di come i quadri del Kgb cominciarono pian piano ad adeguarsi alla trasformazione democratica e allearsi alla nuova dirigenza.

In tutto questo tempo, fedele al suo addestramento da uomo del Kgb, Putin aveva riflesso come uno specchio le posizioni di tutti, prima del suo nuovo padrone cosiddetto democratico, poi degli esponenti della vecchia guardia con cui aveva collaborato: “cambiava colore con tale rapidità che non si riusciva mai a dire chi fosse davvero, ha commentato Franz Sedelmayer, consulente per la sicurezza della Germania” (Belton. Op. cit. pag. 75).

Vladimir Putin rientrato, quindi, a San Pietroburgo diventò poi vicesindaco e fu nominato direttore del comitato cittadino per i rapporti con l’estero. Ed è in queste posizioni che fece girare documentari di propaganda. Filmati che non erano forme di campagna politica, ma strumenti di manipolazioni di massa tipiche dei sistemi spionistici. Il racconto fatto da Putin fu solo l’inizio di una serie di falsificazioni e mascheramenti riguardanti la sua carriera nel Kgb, nella fase di piena implosione, quando fece ritorno da Dresda, in un mondo in cui nulla era davvero come sembrava.

Da lì comincia una seconda stagione che portò Putin a fingere fedeltà al proprio referente democratico, il Sindaco Sobcak, per poi nell’ombra tramare per favorire la sua morte. Ma questa è un’altra storia, in cui il bagno di sangue crescerà, senza soluzione di continuità. Del resto, le dichiarazioni riportate all’inizio del primo capitolo da Catherine Belton sintetizzano la fase di transizione dopo il Crollo dell’URSS, come quella di Bob Levinson ex agente speciale dell’FBI: “I capi della criminalità organizzata russa, i suoi membri, i suoi associati, si stanno spostando in Europa occidentale, stanno acquistando immobili, stanno aprendo conti bancari, stanno fondando aziende, si stanno infiltrando nel tessuto della società e quando l’Europa se ne accorgerà sarà troppo tardi” o di Sergej Tretjakov, ex colonnello della SVR l’intelligence internazionale russa, di stanza New York in cui diceva: “… posso dimostrarvi che ancora oggi la SVR sta tentando di distruggere gli Stati Uniti e ancor più di quanto faceva il KGB durante la guerra fredda”.

 

*(riferimenti estratti dal reportage di Catherine Belton, “Gli uomini di Putin, come il Kgb si è ripreso la Russia e sta conquistando l’occidente”. Editore: la nave di Teseo)

 

(25 marzo 2024)

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