di Vittorio Lussana
Lo scambio di opinioni, abbastanza civile, avvenuto tra Carlo Calenda e Roberto Vannacci a Di martedì, la trasmissione condotta da Giovanni Floris su La7, non ha avuto nulla di culturale: era semplice cultura media, piccolo borghese, come i 4/5 delle cose trasmesse dalla televisione. La cultura vera di un Paese è tutt’altra cosa.
Infatti, il generale Vannacci, che nel frattempo ha scritto un nuovo libro, ha deciso di abbandonare la contea delle proprie castronerie che aveva espresso ne ‘Il mondo al contrario’ (Il Cerchio, 2023), riducendo ogni giudizio a una questione nominalistica, com’è tipico dei qualunquisti. Nella sua nuova opera, ‘Il coraggio vince’ (Piemme, 2024), egli batte in ritirata su molti dei giudizi espressi in precedenza, ma in realtà tende a rappresentare un’ambiguità anche un po’ viscida, in cui la destra si rifugia spesso in quanto subcultura gerarchica o di classe. Pertanto, non vi è nulla di “liberale” nelle sue idee, come a un certo punto ha commentato Giovanni Floris, bensì si tratta di un vuoto nominalismo: un agganciarsi alle parole distaccandosi dal loro contesto pre-esistente.
Facciamo un esempio: il termine “finocchio”, molto a lungo utilizzato nel linguaggio comune per definire i gay, deriva dall’ortaggio che veniva utilizzato per indicare la condanna al rogo degli omosessuali da parte dell’Inquisizione. Dall’odore del finocchio bruciato, il popolo comprendeva la motivazione della pena capitale inflitta dai vari tribunali ecclesiastici. Quindi, quando si utilizza il termine “finocchio” per indicare un gay, non stiamo affatto usando un termine innocente o leggero.
Il nominalismo, infatti, nega ogni realtà e la Storia stessa: tutto deve far riferimento a un qualcosa di materiale, come per esempio la cittadinanza o l’appartenenza a un gruppo etnico, le quali debbono basarsi sul sangue, sulle connotazioni somatiche o sull’appartenenza a un territorio ben delimitato da confini e frontiere. Non si tratta neanche di tradizionalismo folk, bensì di spirito degradato a cosa. Ma i sentimenti, tutti i sentimenti, anche l’amor di Patria o l’orgoglio stesso di appartenenza a una nazione, sono simbolici, non pratici o tecnicamente empirici come le semplici pulsioni.
Insomma, il nominalismo è la classica cultura di massa che nega ogni valore ai sentimenti, riducendo ogni cosa a mero meccanismo materiale. In sostanza, il nominalismo non è altro che la pura pornografia della realtà, non realismo. Esso non si limita a teorizzare il “quando ci vuole, ci vuole”: per certi soggetti, come il generale Vannacci, vale sempre e soltanto il “ci vuole”, ovverosia la forzatura, la semplice applicazione di una pena totalmente priva di attenuanti, senza alcuno sforzo interpretativo. Ma la norma giuridica non è composta solamente dalla sanzione. Essa deve anche indicare una fattispecie, una motivazione teorica del dolo: “Se fai questo, ti succede quest’altro”. La norma giuridica è sempre composta da due parti. Persino l’ordine militare lo è: una prima parte è avvertitiva, mentre la seconda è esecutiva. Queste cose, un militare dovrebbe saperle. E se dichiara il contrario, sta facendo il furbo.
Questa è gente pericolosa, perché non ragiona in termini realistici. E i loro comportamenti non sono mai razionali, ma un semplice meccanismo di reazione, appreso come tale e difficilmente modificabile. L’irrazionalismo, in quanto pulsione di pancia, è sempre contraddittorio, perché considera normale utilizzare lo stesso metro e comportarsi nella stessa maniera in tutti i casi, anche quando i contesti o il movente di un fatto qualsiasi sono diversi.
Gli irrazionalisti giudicano unicamente il fatto, dimenticando l’atto che lo ha causato o prodotto. Una ragazza viene stuprata perché indossava un vestito corto o una minigonna: l’atto in sé – lo stupro – viene dimenticato, poiché sostituito da un altro fatto, che lo avrebbe, a sua volta, causato. Tutto viene messo sullo stesso piano e non vi è mai nulla da prendere realmente sul serio: sono le regole dell’operetta teatrale queste, che si distaccano sia dalla grande opera sinfonica, sia dal teatro di prosa.
Non c’è mai nulla di simbolico o di evocativo, per gli irrazionalisti: ogni cosa risulta schiacciata sull’aspetto pratico, come causa unica di ogni delitto o reato. E’ il concetto semplicistico che sta alla base dello Stato di Polizia e che rende inutile l’esistenza di una magistratura indipendente con il compito di interpretare le norme giuridiche, le quali vengono totalmente trascese e distorte. Quello di Vannacci è un pensiero primitivo, che si autoproclama giudice del prossimo (soprattutto se diverso), senza alcuna interpretazione psicologica o morale, totalmente al di fuori dello Stato di diritto e da qualsiasi corrente filosofica, teologica o di pensiero.
Siamo di fronte ai miserabili escamotages delle destre, le quali cercano di cambiare pelle rispetto alla propria identità precedente – quella fascista – e che, tuttavia, non riescono ad approdare da nessuna parte. Non ritornano, come nel caso dei post comunisti, nell’alveo del socialismo massimalista, ma si perdono per strada: una vuota forma che fatica a distaccarsi dalle logiche della dittatura militare, non riuscendo a ritrovare nemmeno la strada verso il socialismo rivoluzionario del giovane Mussolini. E’ questo il vero motivo per cui hanno un bisogno spasmodico di nemici, di qualcuno da etichettare, perseguitare, insultare o condannare, che siano gli immigrati, gli omosessuali, i comunisti o chi più ne ha, più ne metta: perché un guerriero senza nemici non serve a nulla, in quanto totalmente inattuale. Cosa ce ne facciamo di un generale con i tratti somatici di un dittatore algerino?
Se il colpevole di ogni reato è sempre il maggiordomo, diviene inutile scrivere dei romanzi gialli. Lo sappiamo già dall’inizio chi è l’assassino, sin dalla prima pagina: è inutile impegnarsi nella lettura. E infatti, le nostre destre sono composte, in larga parte, da persone che leggono pochissimo, perché sanno già come finisce ‘sta storia. Lo hanno deciso loro a priori, secondo una logica totalmente arbitraria, assolutamente priva di prove (come nel caso dei vaccini, ndr), che si affida unicamente alle sensazioni o alle semplici intuizioni. Una via d’uscita filosofica ci sarebbe, però, in tutto questo: avere il coraggio di affrontare una nuova fase della propria Storia che sappia vivere di vita propria, abbandonando il proprio universo inverosimile.
Come Frodo ne “Il signore degli anelli”…
(15 marzo 2024)
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