Il problema si chiamerebbe Luca Zaia. Salvini lo vuole in Veneto per il terzo mandato che sarebbe il quarto – per tenerlo lontano dalla poltrona di segretario della Lega – e Meloni e sorelle e cognati d’Italia vogliono invece un loro uomo alla guida del Veneto. Salvini è incazzato come una biscia e sibila: “In Veneto la Lega va da sola”, ma poi la dichiarazione è sparita. Ma non c’è bisogno di dichiarare.
Ha sbraitato per Solinas, e gli hanno detto ciao ciao; ha sbraitato per l’emendamento sul Ponte sullo Stretto, e gli hanno detto ciao ciao; ha sbraitato pro-trattori, e il governo va avanti da solo; ha sbraitato sui 30kmh (questo prima dei trattori) e da Bologna gli è arrivata una risposta che è un uppercut; sbraita e pontifica su tutto e nessuno gli dà retta, a parte il suo vicesegretario-clone (quello del battutone “Sono etero, spero non dispiaccia”, dicono si chiami Crippa, ma non ci si ricorda, appare e scompare, una luce a intermittenza, diciamo); sbraita su Zaia e questo gli ricorda che è curioso e “fa anche un pò sorridere, pensare che l’unico dibattito di questo Paese sia il sottoscritto”; poi il cognato d’Italia Lollobrigida picchia più duro: “Si vota con il proporzionale, è normale che ognuno voglia distinguersi; l’elettore del centrodestra vuole l’unità e punisce chi lavora per dividere. È già successo” e butta lì il tristo destino di Gianfranco Fini; non gli è riuscito nemmeno il blitz sull’irpef con Meloni prontissima a dire: “Il provvedimento sull’Irpef – scrive l’Huffington Post – è stato proposto dal governo su mio preciso indirizzo”.
Lui grida e grida, scende nei sondaggi, sale le scale, si occupa di tutto – anche e soprattutto di ciò che non conosce – in un iperpresenzialismo Zelig-caricaturale che nemmeno gli lascia il tempo di accorgersi di essere afono e invisibile. Perché chi porta voti alla Lega, Luca Zaia, in realtà non lo contesta nessuno a destra. E’ Salvini che lo vuole in Veneto a tutti i costi per non averlo tra i piedi.
(15 febbraio 2024)
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