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Gli influencer e l’illusione del libero arbitrio

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di V.S.

La credenza che i desideri che cerchiamo di soddisfare attraverso atti di consumo ci appartengono, è un’illusione cognitiva ed una caratteristica della nostra epoca, quella del capitalismo di sorveglianza, quella che ha creato una classe di fornitori di informazioni, gratuiti, corrispondenti a quella dei consumatori.

È un’epoca in cui tale caratteristica è accompagnata dalla narrazione morale e ideologica della razionalità tecnica, quella della crescita continua, dell’efficienza fine a sé stessa che riproduce e alimenta la stessa potenza della tecnica, cioè quella della minimizzazione delle risorse e dell’ottimo tecnico, indipendentemente dalla qualità degli stessi obiettivi, in base alla visione umana da cui derivano. È un’epoca in cui, prima per scopi strumentali specifici: dall’efficienza produttiva, alla diminuzione del tempo per attività ripetitive, o per grandi elaborazioni di dati si passa poi a introdurre la metafora meccanica-artificiale come modello da imitare a cui gli umani si devono adattare per sentirsi adeguati e performanti. È l’epoca in cui si producono narrazioni che hanno il compito di nascondere questo processo: una tempesta perfetta per arrivare al punto di svolta di un sistema in cui l’umano potrebbe non essere più colui che orienta il sistema delle relazioni e della vita .

Non sono le macchine che ci prendono l’anima come in certi film di fantascienza degli anni ’60, ma siamo noi che diventiamo macchine e che stiamo costruendo un futuro in cui simulazioni di umani o avatar di umani diventeranno uguali a noi, in un’inquietante prospettiva che rischia di aprire persino le porte a nuove morali o ad un ritorno in auge di quella utilitarista. Una morale, quindi, che potrebbe portare a trovare più utile uccidere un uomo sano per salvarne cinque o per salvare cinque copie dello stesso umano (vedi il dilemma morale “del carrello”). È un’epoca in cui la fatica di mantenere vivo un pensiero critico e autocritico ci spinge a desiderare la nostra comfort zone, di evitare i conflitti, la comprensione dell’altro e la relativa mediazione, quando questi sono gli unici elementi che, avendo a che fare con il processo delle scelte, possono darci l’idea del libero arbitrio e, quindi, del senso di esserci.

Sembra che il futuro ci porti a trasformare la realtà in un mondo simulato, popolato da avatar di noi stessi, insieme a degli “zombie filosofici”, copie senza coscienza e “senzienza”, che si comportano nel nostro stesso modo, come fossero dotati di libero arbitrio.

Il libero arbitrio è in realtà un processo che per funzionare necessita di condizioni che permettono un pensare sul pensato, una riflessione consapevole sui nostri desideri. Mentre la morale utilitarista trova una strada facile nelle autarchie, dove pochi decidono per tutti, ridotti a numeri, a unità, nelle democrazie occidentali, dove il consenso o forse sarebbe meglio dire la collusione dei cittadini consumatori è un elemento fondante, il controllo e la manipolazione devono passare, attraverso un graduale e silenzioso processo di modifica cognitiva. E contrariamente alle realtà virtuali, che possono persino essere un tipo di realtà, perché i soggetti fuori e dentro quel mondo sono consapevoli della realtà fisica- biologica da cui provengono, queste modifiche cognitive, all’insaputa dell’io o del sé o della coscienza, sono vere e proprie illusioni.

E gli influencer giocano un ruolo in questo processo: sono veri e propri strumenti, avatar di esseri umani che interpretano quel ruolo pensando di mantenere intatta una loro vera identità, coltivando anche loro l’illusione di poter smettere quando vogliono. I cosiddetti influencer contribuiscono dando un volto umano al sistema pervasivo di induzione e manipolazione dei desideri. In pratica sono umani prestati alle macchine. E non lo sanno. Del resto, da un altro punto di vista, sono anche strumenti che svolgono funzioni già presenti nel primo mondo industriale, sono gli intermediari, quelli che in una logica di miglioramento dell’efficienza sono in grado di raccogliere un gran numero di “influenzati”, e non solo attraverso il loro essere pubblicità umana, ma persino nel loro essere consorzi umanizzati a cui i singoli produttori di desideri manipolati conferiscono il loro prodotto (le informazioni sui loro desideri). Senza saperlo e, quindi, senza pretendere alcun compenso: una fornitura gratuita, ad eccezione dell’unico costo, quello rappresentato dagli influencer per la loro funzione di “strumenti che consorziano i desideri”.

Ma anche per questi influencer le ragioni delle transazioni e degli scambi in cui sono immersi non è trasparente. Non svendono la propria anima, non percepiscono certo così il loro ruolo. Devono presumere di essere dotati di libero arbitrio per poter essere convincenti e, quindi di rendere genuini e trasparenti i loro autonomi desideri. E così facendo accumulare denaro e consumare molto, a loro volta. Ma gli influencer rappresentano una manipolazione dei nostri desideri ancora più sottile e occulta di quelle prodotte dalle martellanti pubblicità che compaiono improvvisamente nei nostri devices. Giocano sull’imitazione, sullo sguardo di noi stessi e degli altri, mentre desideriamo.

Lo sguardo degli altri è lo specchio in cui riflettiamo la nostra identità fin da quando nasciamo e così farci credere alla provenienza interna del nostro desiderio indotto e manipolato. Ma questa diventa che lo si voglia o meno, la base di partenza per la perdita della centralità del proprio sé. E se è basato su un processo di identificazione, il nostro avatar che tanto assomiglia e vuole assomigliare al profilo dell’influencer è sempre a fianco a noi, è sempre nella nostra testa. Non c’è, perciò, confine, non c’è privacy, entra nella notte nella nostra camera da letto.

È lo stesso meccanismo che rende particolarmente inquietante il cyberbullismo. Non c’è più protezione come quella che potevi opporre alle palline di carta che i bulli in classe tirano alla vittima, correndo a chiuderti nella tua stanza. Gli avatar-influencer sono sempre lì, superano i muri. E i danni, anche se questo tipo di bullismo sembra stare dentro ad un mondo virtuale sono dello stesso tipo del mondo fisico-biologico, visto che Scotland Yard sta già riflettendo sulla denuncia per stupro virtuale, che è virtuale per il modo con cui avvenuto, ma è assolutamente reale per le conseguenze psicologiche che ha provocato.

La pubblicità ingannevole di cui è accusata la Signora Ferragni è solo la punta dell’iceberg. Sono convinto che sia considerato un incidente di percorso che influencer e gestori dell’influencer avrebbero evitato volentieri. Non è l’essenza del ruolo quella di far passare per beneficenza una proposta commerciale: è emersa perché sono incappati in una non conformità ad una regola specifica. Ben venga se questo incidente ci permette di porre alla ribalta il vero potere improprio dell’influencer, quello su cui ancora non esistono regole formali che lo proibiscono: imposizione di desideri commissionati alla volontà altrui. I desideri dovrebbero essere “nostri”, anche se, purtroppo o per fortuna la conoscenza di chi sono quel “nostri” non è precisa e statica, ma approssimata e dinamica, in continuo sviluppo e interazione con la conoscenza che gli altri hanno di loro stessi, compresi gli influencer.

Se riuscissimo ad avere le motivazioni per sviluppare il nostro sé insieme ad un pensiero critico che filtra i messaggi esterni potremmo essere più liberi di orientare la società in cui viviamo secondo la nostra immaginazione. È vero, anche lo stesso pensiero critico è determinato dall’ambiente, ma non nei tempi dettati dalle esigenze dei consumi e dell’accumulo di capitale. Se il libero arbitrio è un processo, allora sono i poteri compensativi richiamati dal processo che dovrebbero avere un ruolo.

Così come nella realtà esterna a noi sono le regole di un processo decisionale che assicurano la separazione e l’indipendenza delle funzioni e quindi un’autonomia di tale processo, così anche dentro di noi la riflessione autocritica è il risultato di una sorta di separazione delle funzioni: dall’istinto che agisce, alla razionalità che verifica, ma molto più spesso giustifica ed al “terzo occhio” che pensa sul pensato e valida il comportamento adottato.

Gli influencer, ricchi schiavi del mondo contemporaneo, non si rendono conto di essere grandi macchine, di aver fatto il classico patto con Faust, senza saperlo. Fino a quando l’eventuale fallimento, che spesso rappresenta un’occasione di cambiamento verso una maggiore autenticità, li obbligherà ad una scelta: ritrovare l’anima perduta tipicamente umana oppure, forse più convenientemente, continuare a condividere un’anima artificiale con le stesse persone “influenzate”.

Persone, che, decretando il potere degli influencer sul proprio desiderio, legano tutti nello stesso destino artificiale e ignoto.

 

 

(27 gennaio 2024)

©gaiaitalia.com 2024 – diritti riservati, riproduzione vietata

 





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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