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La pesca della discordia

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di Vittorio Lussana

Facciamo un po’ di chiarezza in merito allo spot pubblicitario di una nota catena di supermercati. Innanzitutto, sono d’accordo con Alessandro Cattaneo: se anche il mondo del marketing comincia a porsi il problema di dover raccontare delle storie, anziché limitarsi a imporre dei modelli irrealistici, come per esempio quello della guardia notturna che si trasforma in uno chef – indicazione diretta alla flessibilità del lavoro – è già un passo avanti molto importante. Pertanto, lo spot raggiunge un obiettivo: parla al cuore della gente. Meglio così.

Tuttavia, ciò avviene per motivazioni commerciali, non certo con intenti educativi o edificanti. In secondo luogo, sembra quasi che i figli di genitori divorziati siano più esposti alle tentazioni, come quella di sfuggire al controllo della madre per rubare una pesca – poi pagata in cassa senza essere né pesata, né imbustata – e consegnarla al padre sostenendo che gliela manda “la mamma”: una bugia bianca, insomma. Ora, la vicenda narrata, purtroppo, mostra un altro lato della medaglia: non è affatto una situazione standard. Ci si rivolge a un everyman che non esiste più, che non ha potuto cambiare l’automobile con la quale si muove per andare al lavoro e che di prendere in esame una ricucitura con la ex moglie non gli passa neanche per l’anticamera del cervello, poiché certi problemi pratici, purtroppo, restano inaffrontati.

In sostanza, dallo spot si evince che fare la spesa e considerare il cibo come un nuovo totem, quasi fosse una droga o una nuova forma di erotismo morboso, siano valori in grado di rimettere a posto le cose. A questo siamo arrivati: basta che consumi e il sole torna a splendere sulle nostre vite. Semplice, no? Dei salari bassi da 20 anni, degli atteggiamenti ricattatori in ogni situazione, di una logica contrattualista che sa solo comprimere il costo del lavoro non se ne parla: sono tutti argomenti che non meritano di essere contemplati. Neanche il fordismo va più bene, perché siamo andati ancora più indietro: al vassallaggio feudale, al sostentamento minimo, alla derrata alimentare, alla tirchieria come valore, che in un Paese cattolico diventa subito assoluto e incontestabile.

In un divorzio, le ferite rimangono da entrambi le parti. E le situazioni concrete delle persone non sono quelle ipotizzate dallo spot, che in fondo racconta una situazione idealtipica: magari le coppie separate o divorziate fossero tutte così. La realtà, invece, registra un femminicidio dietro l’altro, anziché accettare razionalmente di essersi sbagliati, di aver scelto una persona senza calcolare eventuali difetti e incompatibilità, di aver collocato una bomba alla base del rapporto di coppia, facendo saltare per aria ogni progetto di vita, come se il dialogo, la maturità, l’equilibrio e l’intelligenza fossero concetti marginali, da nerds o da eterni ragazzini.

Quindi, lo spot tradisce una risposta a due facce: una mezza verità tipica del marketing, che come al solito pretende di imporre sempre gli stessi modelli, raccontando una realtà a segmenti. Diciamola tutta, invece, la verità, senza ricorrere ai soliti cliché: con uno stipendio decente, i due genitori non si sarebbero nemmeno separati. Se si continua a imporre modelli assoluti, poi è inutile chiedere il dialogo e non la polemica. Quello italiano rimane un capitalismo possessivo e ricattatorio, l’esatto opposto rispetto a quanto teorizzato da Riccardo Lombardi. Come ai tempi di Carosello: chi non beve un certo cognac andrà sicuramente incontro a disavventure amorose.

La verità è che Dio, Patria e Famiglia sono una triade di valori basati sull’obbedienza, sulla gerarchia, sulla dipendenza. Idee ormai superate, perché non incidono sulla realtà, non trasformano le condizioni sostanziali del singolo individuo, non producono discorso né pensiero critico, non sono in grado – anzi, non lo sono mai stati – di cambiare la vita degli italiani, poiché li esclude da ogni processo partecipativo. Anzi, non li contempla proprio, se non quando arrivano le elezioni, rendendoli oggetti passivi e non soggetti attivi. E mamma e papà devono fare la pace per forza, resettando il passato e nascondendo la polvere sotto al tappeto.

Insomma, i messaggi idealtipici di chi sbandiera certi ideali, quasi mai sono coerenti nei propri comportamenti concreti. La triade Dio, Patria e Famiglia corrisponde a una dichiarazione di inattualità a fronte di un’epoca che, al contrario, è quella della biopolitica e del capitalismo cibernetico. Sia ben chiaro: in una fase storica del genere è legittimo cercare di capire attraverso quali culture umaniste regolarsi, per controllare eticamente il rischio di un positivismo piatto, fondato su uno sviluppo tecnologico funzionale unicamente a se stesso. Ma la religione, innanzi a una società secolarizzata, non può essere ridotta a mero simbolismo ritualista strumentale a prendere voti; la Patria non dovrebbe essere un ideale che viene infranto ogni giorno; e la famiglia non può essere pensata come un qualcosa di apologetico, di statico, basata su un modello unico e una rigida divisione dei ruoli tra uomini e donne.

La formula Dio, Patria e Famiglia corrisponde a una chiusura all’interno di se stessi, prigionieri della paura di uscire di casa e affrontare il mondo. Non sono la risposta giusta, mi dispiace, pur avendo apprezzato, almeno in parte, il tentativo dell’agenzia di comunicazione che ha prodotto lo spot della pesca della discordia. Mamma e papà, alla fine, “ci ripensano come i cornuti”, si dice a Roma. E’ meglio non pensarci, invece: che ognuno si tenga le proprie corna e impari a portarle con eleganza, sia in casa che fuori, senza reprimersi a vicenda con volgari egoismi e ipocrisie.

Portare avanti un matrimonio unicamente per amore dei figli è un cattivissimo modo di educare una bambina. La quale, a un certo punto, dovrà pur capire che le cose finiscono, che gli amori si esauriscono, che un bel giorno ella si troverà da sola ad affrontare il mondo e che dovrà prepararsi a vivere quella fase, anziché restare a casa con mamma e papà fino ai 40 anni pur di avere i piedi al caldo. Immersa tra finzioni e prese per i fondelli reciproche.

 

 

(28 settembre 2023)

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