di Lorenza Morello
Partiamo da un dato di fatto: il termine “reato universale” nel linguaggio giuridico non esiste. Ciò che però certamente era nell’intento dei suoi fautori era indicare che ci sono reati così gravi che vanno repressi ovunque siano stati commessi, in alcuni casi da chiunque siano stati commessi. Il messaggio che si vuole lanciare è che una condotta, anche se lecita all’estero, per l’Italia resta illecita.
Come ho già avuto modo di affermare, da giusnaturalista e, quindi, studiosa e cultrice del diritto naturale che -per spiegarlo in parole semplici ai non addetti ai lavori- è quella corrente giuridica che -diversamente dal diritto positivo- non riconosce all’uomo la potestà di legiferare su ciò che non accade “naturalmente” in natura (esempio: poiché in natura due esseri dello stesso sesso non possono procreare, nessun uomo potrà arrogarsi il diritto di legiferare in tal senso) la proclamazione del “reato universale” dell’utero in affitto mi vede perfettamente concorde in linea teorica. Purtroppo, però, c’è la realtà delle cose del mondo che contro questa teoria si scontra.
Ci sono già infatti Paesi come India e Stati Uniti dove la pratica della maternità surrogata viene considerata legale.
Tuttavia, l’articolo 7 del nostro codice penale individua una serie di reati sulla base del principio di universalità, cioè l’idea secondo la quale ci sono reati così gravi che giustificano l’intervento del sistema penale italiano indipendentemente da dove il reato è stato commesso o dal soggetto che lo ha commesso.
Ebbene, alla luce di tutto ciò, ecco che la dizione “reato universale” assume il significato di perseguire e punire un cittadino italiano in quanto tale ovunque si trovi, se compie il reato di utero in affitto. Questo, come i giuristi sanno bene, cozzerebbe con il criterio di territorialità del locus commissi delicti che fa sì che un’azione sia perseguibile e punibile in base alla legge del luogo in cui questa è commessa. Criterio superato però dalla universalità, appunto, che farebbe superare anche il problema nei rapporti tra legislazione: all’estero il fatto viene considerato lecito ma per chi lo pratica diventa illecito.
Cosa che peraltro accade già nel caso della pedofilia o alla prostituzione minorile (cosa in cui, ahinoi, l’Italia ha un triste primato) e i nostri connazionali rei che migrano per commetterlo, se scoperti, pagano del reato anche se compiuto in Paesi in cui questo non è considerato tale.
Essendo la pratica dell’utero in affitto una aberrazione sfaccettata che comprende al proprio interno più reati diversi, non si vede perché non si possa dichiarare anch’esso reato universale. Questo anche e soprattutto come disincentivo al “turismo di sfruttamento” dove ci si reca in Paesi Esteri a compiere azioni che da noi sono penalmente perseguibili onde evitare qualsiasi pena.
(31 luglio 2023)
©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata