Dopo la veemente lettera di Marina Berlusconi, matriarca della famiglia con la quale Forza Italia ha un debito di 100milioni di euro, e per qualcuno non è un soggetto politico, dove picchiava durissimo contro la magistratura con un lapidario e discutibilissimo: “Mio padre perseguitato anche da morto”, mettendosi di traverso alla procura di Firenze perché un cognome è un destino, nostro malgrado, ecco che esplodono le polemiche.
La presidente del Consiglio non ci fa mancare quel buon senso garbatelliano che non serve nemmeno a lei e cerca di placare gli animi spiegando “Non posso considerare Marina Berlusconi un soggetto della coalizione perché non è un soggetto politico” – e davvero ci vuol coraggio. Così ci pensa Matteo Renzi – che cerca posto nella coalizione, a quanto sembra e non si capisce se a titolo di direttore editoriale o di presidente di partito, per il quale la lettera di Marina Elvira Berlusconi sulla colonne del Giornale di famiglia dalla quale la matriarca ha lanciato un’invettiva a tutto campo contro stampa e magistrati, colpevoli – è la tesi – di aver avviato una campagna di “persecuzione” nei confronti del padre – a dire quello che Meloni non può dire: “La Procura porti la legalità a Firenze e non si metta a riscrivere la storia per motivi politici contro Berlusconi”. Perché il pater familiae è tutto nella vita di un uomo. E anche di una donna.
Che la lettera deliri di un asse tra “pubblici ministeri” e “organi di informazione amici” (quali?) in difesa del padre defunto, in riferimento ad articoli pubblicati sul presunto coinvolgimento di Berlusconi nelle stragi del 1993, oggetto di un’inchiesta della Procura di Firenze, è irrilevante? La Procura fa il suo mestiere, che lo faccia disprezzando un morto è opinione che ognuno può esprimere o no, e anche Marina Berlusconi fa il suo mestiere. Quello della leader ombra che senza entrare direttamente in politica si mette alla guida di Forza Italia per salvaguardare eredità ideologica, politica più quell’altra materiale ben più cospicua e visibile, lasciata dall’augusto padre. Non stupisce che il presidente della Federazione nazionale stampa italiana in un’intervista a Repubblica parli di “attacco alla libertà di informazione” con lo scopo di “delegittimare il giornalismo d’inchiesta”, che è sempre parte dell’eredità di Berlusconi padre, metodi inclusi.
Meloni decide di sorvolare perché ora ha una nemica amatissima in casa, più pericolosa perché oscura, ma dotata di tanti e tali mezzi da poter oscurare il lavoro della presidente del Consiglio, per il buon nome della famiglia, mentre cura le rose nel suo giardino mantenendo con Meloni quello che viene raccontato come “un ottimo rapporto”.
Per Marina Berlusconi: “Tutto serve a costruire la condanna mediatica, quella che sta loro davvero a cuore, prima ancora che il teorema dell’accusa venga vagliato da un giudice terzo. Un meccanismo diabolico, questa tenaglia pm-giornalisti complici che rovina la vita ai diretti interessati ma anche condiziona, e nel caso di mio padre si è visto quanto, la vita democratica del Paese, avvelena il clima, calpesta i più sacri principi costituzionali. È un “fine pena mai”. Nemmeno con la morte. Ci sono ancora pm e giornalisti che insistono nella tesi, assurda, illogica, molto più che infamante, secondo cui mio padre sarebbe il mandante delle stragi mafiose del 1993-94” ed è curioso che l’accausa provenga dalla primogenita del fondatore di una catena di informazione che sulla “condanna mediatica, prima ancora che il teorema dell’accusa venga vagliato da un giudice terzo” c’ha costruito un impero. E poi un partito e diversi governi. Altro che damnatio memoriae, non sappiamo se Berlusconi è stato o meno colluso con la mafia, non vogliamo credere che sia stato mandante delle stragi mafiose del 1993-94, certamente è stato un uomo senza scrupoli che sul conflitto dei poteri dello Stato ha ballato per tutta la durata della sua lunga (e dannosa per il paese) carriera politica. Oggi, siccome non ne era bastato uno, abbiamo una Berlusconi in più. Quella che mancava.
(20 luglio 223)
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