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Microplastiche. Un nemico silenzioso tra tutela della salute, interessi economici, politici opportunisti

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di Alfredo Falletti

Da poco meno di un decennio la ricerca scientifica ha scoperto una nuova frontiera in tema di pericoli per la salute: frammenti microscopici assimilati dall’organismo che non si riesce a espellere. Questo silente nemico è rappresentato dalle microplastiche, frammenti non biodegradabili di materiale plastico che si “staccano” da frammenti più grandi di dimensioni inferiori a cinque millimetri, che sono praticamente presenti, ormai, in ogni cosa ci circondi e che si possa utilizzare, ingurgitare, inalare.

Costituiscono parte integrante di prodotti di cosmesi, detergenti per la casa e/o per il corpo, saponi e dentifrici e soprattutto dell’acqua e del cibo. L’assunzione pro capite annuale arriva a 250 grammi pari a 50.000 microparticelle di plastica.

Poco o nulla incide lo stile di vita sano di non fumatori o cultori dell’alimentazione equilibrata: da uno studio effettuato da diverse Università italiane in materia di fertilità maschile si è evidenziato che il 60% dei campioni analizzati contengono questi microcomponenti minacciando, così, fertilità in genere e specificamente la “qualità seminale”. In un momento in cui si lancia l’allarme sulla decrescita della natalità questa notizia è una vera doccia fredda. Diverse sono nel mondo le Università e gli istituti di ricerca impegnati nell’identificazione della natura delle microplastiche e delle interazioni con l’essere umano.

Il Prof. Dick Vethaak, biologo e tossicologo, esperto di qualità dell’acqua, dell’ecosistema e della salute presso l’Institute for Risk Assessment Sciences (IRAS) dell’Università di Utrecht, partendo dalla certezza che le sostanze chimiche alterano il sistema endocrino, ha analizzato gli effetti dei detriti di plastica presenti anche nel sangue, nei polmoni e perfino nella placenta ed il loro passaggio nel feto, nei polmoni arrivando nel cuore, nel cervello e in altri organi non escludendo la possibilità dell’insorgenza di danni anche al sistema nervoso centrale e di mutazione della struttura delle cellule riscontrando che la quantità presente nel sangue è 10 volte più alta nei bambini rispetto agli adulti.()

L’Istituto Superiore di Sanità ha suddiviso le microplastiche in “primarie” e “secondarie”. Le prime sono appositamente prodotte per le loro caratteristiche abrasive, esfolianti, leviganti e trovano impiego nella produzione di vernici e nella cosmesi. Le seconde sono originate dall’usura e dal deterioramento di tessuti sintetici, di pneumatici, ecc. Non diverse sono le conclusioni in ordine ai danni cagionati al sistema immunitario, neurologico ed alla salute in genere.

Una voce che “parla di soluzioni” arriva dall’Università degli Studi di Catania dove si sta studiando un sistema ecosostenibile per combattere e cercare di eliminare le microplastiche. La Dott.ssa Eloise Pulvirenti sta lavorando proprio ad un progetto che possa ridurre e quindi eliminare le microplastiche dalle acque. L’obiettivo è quello di progettare tre prototipi industriali al fine di ridurre il rilascio di microplastiche originato dagli impianti di depurazione delle acque reflue urbane: il progetto “Acquaplanet”  che in sinergia con il Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti del Dipartimento Ingrassia e la Società Plastica Alfa (azienda operante nel campo dell’idraulica e depurazione acque) ha portato al “Metodo per l’estrazione e la determinazione di microplastiche in campioni a matrici organiche ed inorganiche” (Brevetto MISE nel marzo 2018 dell’Università di Catania e Brevetto Europeo EPO del luglio 2022) unica metodologia attualmente disponibile al mondo in grado di rilevare anche le microplastiche di dimensioni inferiori ai 10 micron. ()

Una “soluzione” 100% naturale, sembrerebbe giungere dal Giappone dove si stanno studiando dei “batteri mangia plastica” scoperti nel 2016 in una discarica. Attraverso lo studio di alcuni enzimi sembrerebbe che alcuni micro-organismi siano in grado di degradare la plastica, soprattutto il cosiddetto PEF, una bioplastica che potrebbe soppiantare la PET aprendo così nuovi scenari nella ricerca di soluzioni all’inquinamento da plastica.

Non può non nascere un quesito. Dietro nomi sconosciuti ai più quali polipropilene, polietilene, polietilene tereftalato (Pet), policarbonato, materiale acrilico e ben altro si cela un altro pericolo che sarà ancor più arduo combattere al di là delle difficoltà che potranno essere affrontate dalla ricerca scientifica: questi sono tutti materiali sui quali si basa la moderna produzione di tutto ciò che ci circonda e gli interessi economici, finanziari e industriali sono colossali. Sarà interessante studiare se la consapevolezza di non poter sfuggire a questo pericolo silente e subdolo e il primordiale istinto di conservazione riescano a superare le barriere del cinismo e della brama di profitto. Sarà una prova definitiva per capire se la mutazione genetica sia ormai tale da superare anche gli istinti più primordiali quali “salvarsi la pelle”. Ai posteri.

 

(5 giugno 2023)

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