di Vittorio Lussana
Non c’è proprio niente da fare: questi non riescono a uscire dal proprio recinto ideologico. Il ministro Lollobrigida, titolare del dicastero dell’Agricoltura e del Made in Italy, ha utilizzato un’altra volta la categoria “etnica”, intendendo con questo termine la difesa della nostra cultura nazionale. Neanche i nazionalisti son capaci di fare…
Sia ben chiaro: la topica e meno grave della precedente, quando il ministro parlò di “sostituzione etnica” da parte degli immigrati. Tuttavia, anche in questo caso, egli presuppone un’idea statica, grossomodo uniforme di italianità, che non solo non esiste, ma che rischierebbe di trasformarsi in una gabbia: nemmeno lo storicismo più idealista e assoluto arriva a questo punto.
Il problema del ministro Lollobrigida è quello di un clerico-fascismo trascendente non mediato dall’immanenza, che non concepisce alcuna antitesi e, di conseguenza, nessuna sintesi innovativa, sotto il profilo filosofico-culturale. Tutto ciò che rappresenta un fatto nuovo non dovrebbe esistere. Anche se ogni giorno accadono accadono un mucchio di cose.
La nostra Costituzione si occupa di etnologia al fine di tutelare quelle minoranze che, per svariate vicende belliche o politiche, si sono ritrovate in territorio italiano, oppure convivono con noi da tempo immemore. Come gli albanesi in Puglia; o i catalani nel nord della Sardegna; oppure ancora i tedeschi del sud Tirolo. Lilli Gruber, per esempio, dev’essere difesa e tutelata: non possiamo escluderla dalla categoria dei giornalisti, perché rischia di contaminarci con i suoi wurstel e crauti. E la stessa Anna Oxa, la quale discende da una famiglia italo-albanese stabilitasi qui da noi ben prima che si formasse il Regno d’Italia, non rappresenta un pericolo etnico per la canzone italiana. Difendere l’italianità come “raggruppamento etnico” significa temere che, durante la partita di calcio Roma-Spoleto, tanto per fare un altro esempio, i tifosi spoletini occupino tutti gli spalti dello stadio Olimpico: è una cosa impossibile che accada. La tifoseria umbra dovrà essere racchiusa in una determinata zona dello stadio, affinché non disturbi più di tanto la città che la ospita per la partita. Ovvero, con un limite temporale stabilito a priori, non ghettizzandoli, poiché anche l’etnologia è una scienza umanista, dunque non assoluta.
Insomma, affermare che l’Italia sia un raggruppamento etnico da tutelare o da difendere, dato che gli italiani stessi sono la maggioranza della popolazione rispetto ad altre comunità che vivono all’interno del nostro territorio, è come tentare di vendere ghiaccioli al Polo nord. L’identità etnica rientra in una logica di cultura ‘media’ ponderata, non come unità intesa in senso omologativo. E’ da provinciali, pensarla così.
L’etnologia, in quanto branca della sociologia, esiste per il motivo opposto: al fine di studiare le differenze, per esempio, tra calabresi e lombardi, più che le loro affinità. Per distinguere la soppressata dalla polenta, insomma, non perché esista un piatto standard da mettere in tavola da Milano a Catanzaro. Ognuno mangi quello che vuole, dato che entrambi i cibi appartengono alla dieta mediterranea. E’ vero: i calabresi hanno una predilezione per i cibi piccanti; i lombardi, invece, amano i retrogusti delicati. Ma si tratta di semplici distinzioni all’interno di un perimetro culturale più ampio, il quale è politicamente democratico, non verticistico-piramidale, oppure gerarchico-confessionalista.
L’etnologia, in quanto scienza, studia varianti e differenze all’interno di un Paese qualsiasi. E concepisce una cultura standard solo per grandi categorie: quelle che il ministro Lollobrigida ha letto sulla Treccani. Ma anche qui: qualsiasi enciclopedia, compresa la Treccani, rappresenta un compendio di voci generalmente intese, non un testo giuridico che cerca di prevedere fattispecie a cui far seguire comportamenti concreti. La Treccani è un’opera straordinaria, pensata e voluta proprio da Giovanni Gentile, che l’ha presieduta a lungo. Ma si tratta di un compendio culturale, non di un testo che non pretende di difendere la pastasciutta o il bicchiere di vino.
Difendere l’italianità come principio “etnico” è una mera astrazione: le culture cambiano, si contaminano, s’incontrano e si evolvono. La nostra cultura non è un mero concetto fotografico, ma un qualcosa che muta ogni giorno, lentamente ma inesorabilmente. Pensare all’Italia come unità etnica significa pretendere che esista un qualcosa di omologativo e unificante per tutti, come quando si indossa un’uniforme. E’ un’Italia da caserma, quella che si ha in testa. Ma non tutti gli italiani amano la disciplina militare.
Dalle quattro forme di cultura superiori crociane, cioè l’estetica, la logica, la morale e l’economia, possono derivare svariate forme di cultura pratica, scientifica, artistica e umana. Secondo Giovanni Gentile, che era un filosofo dello spiritualismo assoluto e che, tuttavia, non sfociava in astrazioni superomiste, arte e religione, prese di per sé, sarebbero inattuali: la prima in quanto momento di pura soggettività; la seconda, come concetto teologico di oggettività assoluta. Esse possono diventare attuali solo se poste a sintesi con le scienze umane, come l’estetica o la filosofia morale. Ma si tratta, sempre e comunque, di un’unità che si confronta con la pluralità: dell’uno che entra in rapporto col due, detto in termini semplicemente aritmetici.
Chiudersi a chiave dentro un armadio, di qualunque genere esso sia, etnico, religioso o culturale, rappresenta solamente una forma di irrazionalità paurosa di tutto. Oltreché spaventosamente superficiale.
(12 maggio 2023)
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