di Marco Biondi
In un vecchio slogan pubblicitario degli anni 70, per ricordare l’efficacia di un lassativo, l’attore diceva, sorridendo in camera, semplicemente: “basta la parola!” e pronunciava il nome del farmaco.
La parola della quale vorrei parlare oggi è “antifascista”, parola usata e abusata freneticamente negli ultimi giorni e la domanda che mi pongo è la seguente: esiste una differenza tra il proclamarsi “estranei” al fascismo (ovvero noi col fascismo non abbiamo nulla a che fare) e il dichiararsi “antifascista”? La risposta è certamente affermativa. La differenza è abissale. Per poterlo spiegare meglio, cerco di spiegare in parole semplici, quali sono i principi che hanno fatto diventare il fascismo devastante nel nostro Paese.
Il fascismo è nato camuffandosi per qualcosa che non era. Da principio dichiaratosi “socialista”, a favore “del popolo” è diventato un regime che ha rappresentato gli esclusivi interessi del capitale, sovvertendo quindi tutte le premesse iniziali. E lo ha fatto, negando l’evidenza.
Hanno iniziato a ripetere bugie in maniera assillante, fino a farle percepire come verità. Sono stati capaci di ottenere un consenso quasi totalitario attraverso due strategie: la prima è stata “la comunicazione”, la seconda “la repressione”. Tutti coloro che non erano d’accordo, dovevano essere perseguitati e neutralizzati.
Dichiararsi “antifascista” significa impegnarsi a non utilizzare mai quelle abominevoli strategie.
Chi in politica promette cose irrealizzabili (esempi ne abbiamo?), chi nasconde la realtà delle cose (lo Stato super-indebitato non è in grado di abbattere le tasse o di elargire mance finalizzate ai voti di scambio) chi cerca consenso aizzando la popolazione contro “il nemico” (che sia Stato straniero, o semplicemente cittadino straniero, o peggio ancora, appartenente a una minoranza “non amata” – persone lgbti, ebrei, diversamente abili o naufraghi fuggiti dalla guerra, eccetera) ha nella sostanza un comportamento fascista. Se a tutto ciò fa seguito una situazione di dominio che consenta ulteriori privazioni della libertà, il fascismo si evolve in dittatura.
Da noi che situazione stiamo vivendo?
Il primo e più grosso rischio l’abbiamo vissuto con l’avvento di Berlusconi: proprietario di tre reti televisive, di giornali, riviste e società editrici, una volta ottenuta la maggioranza parlamentare ha oggettivamente provato a uniformare la comunicazione, mettendo, tra l’altro, al bando fior di giornalisti tra i quali il giornalista principe Enzo Biagi, e imponendo una triste uniformità di comunicazione tramite l’emittente pubblica. Per fortuna ha fallito, tradito dal proprio smisurato ego e da una resistenza democratica che non ha abboccato al suo gioco.
Il secondo rischio l’abbiamo corso con il governo giallo verde. Anche lì il rischio di una vera deriva autoritaria l’abbiamo corso. E, anche in quel caso, la mancata consapevolezza dei propri limiti, ha fatto fallire il progetto dei “pieni poteri” di Salvini, sconfitto anche dal mojito e dalla capacità e visione politica del politico più odiato e antipatico della storia italiana.
Oggi siamo all’alba di un’era Meloni, ma le prime avvisaglie non sono rosee. Lei non si è mai dichiarata antifascista, anche se ha pronunciato delle parole analoghe che, per il suo ruolo, non ha potuto esimersi dal pronunciare. Che poi non ci creda, è un altro paio di maniche. Lei si fa vedere “democratica” e “moderata”, mirando ad ottenere una egemonia decisionale che spiazzi e metta fuori gioco gli alleati. Se ci riuscirà, corriamo seriamente il rischio che cerchi una scalata verso sempre più ampi consensi. La differenza rispetto al passato è che lei non si è presentata con un programma di governo irrealizzabile, cosa che ha evidentemente penalizzato gli altri due tentativi precedenti, e quindi pare più difficile che perda consenso per il mancato raggiungimento di obiettivi. E’ utile essere consapevoli del fatto che il rischio fascista in Italia non è mai tramontato. E diventa inevitabile essere vigili e attenti su ciò che può succedere.
Ci sono modi che possono aiutare: intanto evitare distinguo elitari delle opposizioni.
L’opposizione seria e costruttiva aiuta a far conoscere all’opinione pubblica le alternative all’attuale maggioranza. Trincerarsi su una opposizione chiusa, elitaria, non dialogante, rischia di emarginarla e non farla percepire come una alternativa concreta. Dobbiamo restare vigili sulla comunicazione, per evitare che “passi” solo il verbo del potere. In una comunità che s’informa sempre più via social da fonti spesso inattendibili, la resistenza della comunicazione tradizionale può rappresentare un baluardo da difendere a tutti i costi.
Infine, cerchiamo di non dimenticare quali sono le radici di chi adesso ci governa. Chi nasce tondo non muore quadrato, dicono a Roma, e la fiamma tricolore fa ancora bella presenza nel simbolo del partito di maggioranza relativa.
Almeno questa volta speriamo che il capitale economico eviti di supportare la crescita di un regime che rischierebbe di isolare il Paese dal commercio globale. Per fortuna in questo i tempi sono molto cambiati. E anche il sostegno, inevitabile e già plateale, della Chiesa più retrograda, può avere un peso molto differente rispetto a quanto abbiamo vissuto un secolo fa.
In conclusione il rischio permane, ma forse, chissà, “Io speriamo che me la cavo” per tornare a un sorriso dopo tanta serietà. Grazie Paolo Villaggio ( e grazie anche a Marcello d’Orta).
(28 aprile 2023)
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