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Calenda, prima o poi, romperà anche con se stesso?

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di Claudio Desirò

Non era difficile da prevedere la fine che avrebbe fatto il cosiddetto “terzo polo”, compresso tra due personalità egocentriche e la pessima scelta di un frontman borioso, dedito alla dichiarazione compulsiva e privo di quelle caratteristiche che gli possano consentire una leadership chiara e riconosciuta. In pochi ci hanno creduto fino in fondo, anche dopo le avvisaglie avute con i pessimi risultati elettorali conseguiti alle ultime tornate Regionali.

Un progetto nato con le tempistiche sbagliate. Fu l’estate scorsa: mentre Matteo Renzi è sempre stato coerentemente fermo in posizione “terza” rispetto alle due colazioni, Calenda decise questa strada dopo il famoso accordo con bacio a Letta, poi rotto.

Certo, la storia del Carlo nazionale parla per lui grazie ai tanti progetti fatti nascere e poi abortiti in un lampo negli scorsi cinque anni.

Riassumendo, Calenda dal 2018 ad oggi, ha inanellato una lista di cambi di idee infinita: prima non voleva entrare nel PD, ma poi ci entrò, prima di uscirne sbattendo la porta. Poi creò Azione, si alleò con +Europa, con cui fece federazione, per poi romperla quando decise di accordarsi con Letta. Poi, ruppe anche con Letta, per intraprendere la strada prima elettorale, poi federativa, infine del partito unico col terzo polo, salvo, ieri, decidere di rompere anche in questo caso. Il tutto, mentre al Parlamento Europeo, in 5 anni, è entrato ed uscito da 3 gruppi parlamentari diversi. Un curriculum di tutto rispetto per chi, evidentemente, è privo di idee chiare, di capacità politica, di strategia e di visione a lungo termine.

Spiace per quegli attivisti che sul territorio hanno provato a portare avanti un progetto in cui credevano. In verità non molti, perché a parte rare eccezioni, sui territori ci si è sempre trovati davanti a due partiti, a due anime separate in casa, che mal si sopportavano. Le basi della rottura fanno sorridere: si va dal ruolo di Rosato al 2 per mille o alla pretesa di chiusura della Leopolda, una delle poche esperienze politiche di confronto e di crescita della classe dirigente.

Evidentemente, un po’ per invidia, molto per non rischiare di essere messo in discussione, Calenda ha deciso di tornare a rinchiudersi in un orticello sicuro, in cui essere l’unico coltivatore.

Dalla diatriba ne sono rimasti fuori i vari gruppuscoli autonominatisi, ognuno per sé stesso, rappresentanti dei valori liberali. Gruppuscoli guidati da generali senza esercito, che hanno provato ad utilizzarli come comitato elettorale per provare a riciclarsi (alcuni per l’ennesima volta) in un contenitore nuovo. Gruppuscoli rimasti fuori dalle polemiche di questi giorni, come fuori sono stati per tutti questi mesi perché poco rappresentativi e per nulla riconosciuti.

D’altronde, per essere liberali e terzopolisti incalliti ed accettare un contenitore tutt’altro che terzo, pregiudizievole dal punto di vista ideologico e totalmente schiacciato a sinistra, evidentemente attendevano unicamente le briciole in caduta dal tavolo imbandito.

Con la conclusione di questa strada, il Paese dovrà attendere le nuove mosse e le evoluzioni di un campo che di fronte a spazi politici ed elettorali consistenti, non riesce mai a compattarsi per avere un peso importante. Certo, se i vari leader e leaderini hanno come unico obiettivo la propria visibilità personale o il tentativo di inserirsi, tramite l’ingresso sul retro, nelle stanze dei bottoni, sarà difficile riscontrare progetti concreti. Sicuramente, la strada per un partito veramente “terzo” liberaldemocratico, dovrà prevedere un percorso che sia dall’alto ed anche dal basso, che questa volta è mancato, e la volontà di adattarsi alle regole del gioco, ovvero la libertà di pensiero di fare alleanze elettorali, obbligate dalla legge in vigore, a seconda dei progetti e delle affinità, e non con uno strabismo pregiudizievole come avvenuto con la volontà dell’ego-calendiano di guardare solo al PD per sentimento di rivalsa personale.

 

(14 aprile 2023)

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