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Carne sintetica: una norma inutile #giustappunto

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di Vittorio Lussana

Il Governo Meloni, nello specifico il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida e della Salute, Orazio Schillaci, intende vietare, tramite un disegno di legge, la produzione e la vendita in Italia di carne sintetica, cioè prodotta in laboratorio da cellule animali. La norma, in particolare, parla di un divieto alla produzione e all’immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici, ovvero prodotti da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali. Una decisione che giudichiamo velleitaria, poiché si tratta di una ricerca ancora in fase sperimentale, rispetto alla farina di grilli e alle altre novità recentemente approvate dal parlamento europeo.

Insomma, si tratta di una normativa la cui ratio è rappresentata da una sorta di principio precauzionale molto in anticipo sui tempi, che prende le mosse da un provincialismo culturale evidente. In secondo luogo, essa rischia di lasciare indietro l’Italia sul fronte della ricerca, introducendo una barriera d’entrata che potrebbe violare il principio di concorrenza, tanto caro a Bruxelles. Infine, questo tipo di prodotti non sono pensati, né indirizzati, principalmente verso i nostri mercati.

Gli esperimenti in tali tecnologie hanno la finalità di combattere gli allevamenti intensivi, che producono inquinamento e favoriscono l’incubazione di nuove pandemie. Infatti, le cattive condizioni igieniche, il sovraffollamento eccessivo e ravvicinato dei capi e il loro posizionamento strutturale in zone sempre più vicine ai centri abitati o in aree incontaminate – dunque popolate da animali portatori di virus sconosciuti – favoriscono la diffusione di patologie caratterizzate da forme di contagio rapidissime, che rendono relativamente facile lo spillover nell’uomo, come già accaduto almeno 4 volte dai tempi della prima Sars a oggi.

Sia come sia, la carne coltivata rappresenta un’alternativa concreta alla sovrapproduzione, soprattutto asiatica, di carne vera e propria, la quale comporta anni di allevamento e si conclude con l’uccisione di animali. Invece, un’innovazione del genere potrebbe variare la produzione, consentendo un robusto risparmio di risorse e di acqua. Inoltre, essa risulta già autorizzata in varie parti del mondo, senza alcun problema per la salute umana. E nel suo settore di produzione operano già 25 Paesi. Vietarla per principio, potrebbe tradursi in una scelta miope, oltreché illiberale. Anche perché, qui da noi, difficilmente avrebbe conquistato ampie fette di mercato, se non dopo decenni.

Quella del ministro Lollobrigida, insomma, è una scelta dettata da questioni di visibilità politica: un ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare deve far vedere che anche lui sta combinando qualcosa. Ma si tratta di una crociata inutile, perché la competenza ad autorizzarne il consumo spetta all’Agenzia europea per la Sicurezza alimentare, che ha sede a Parma e alla Commissione europea.

Insomma, la domanda sorge spontanea: ma chi ve l’ha chiesto di legiferare su tali settori? Che urgenza c’era? E quali rischi comportava per il consumo interno dell’Italia? Ovviamente, nessuno.

 

(31 marzo 2023)

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