di Kishore Bombaci
Il 27 Gennaio ricorre il giorno della Memoria che ricorda la liberazione da parte dei russi del campo di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau nel 1945.
Emerse allora l’orrore del massacro di 6 milioni di ebrei (oltre a quello di omosessuali, oppositori politici, sinti ed etnie considerate non ariane e quindi impure). Emerse in tutta la sua terribile evidenza quello che già era sotto gli occhi di tutti, ma che tutti con colpevole indifferenza avevano finto di non vedere. La Shoah! Il deliberato sterminio di un popolo da parte dei nazisti. La concretizzazione della soluzione finale voluta dalle gerarchie del Reich per cancellare non solo un popolo ma anche il ricordo del suo sterminio. Una damnatio memoriae che coniugava nel male il passato e il presente a spese degli ebrei, capro espiatorio e vittima sacrificale alla divinità del maligno.
La più grande tragedia della storia umana dunque in quel 27 Gennaio veniva alla luce con tutto il suo carico di orrore. L’antisemitismo che aleggiava come un’ombra di morte su tutta Europa (e non solo) progressivamente, nel silenzio indifferente di tutti, diveniva violenza manifesta trovando il suo punto di massima espressione nei forni crematori.
Oggi molto sembra cambiato da allora, eppure certi spettri si intravedono in modo nitido nella contemporaneità.
Oggi le parole e anche le lacrime non sono sufficienti per esprimere i sentimenti provati a fronte di quanto avvenuto in quegli anni tragici, e tuttavia il rischio di trasformare questo dolore in vuota retorica è estremamente rilevante. Ed è un pericolo non solo perché l’oblio è in agguato, ma sono in agguato anche quegli stessi sentimenti di noia, fastidio, e poi pregiudizio e poi discriminazione e poi morte che consentirono lo sterminio degli ebrei. E attenzione a non confondere la Shoah con altri problemi della contemporaneità. Lo stermino degli ebrei non ha niente a che fare con altre tragedie che viviamo, dal dramma dei migranti alle guerre sparse per il mondo. E’ un evento dotato di una specificità che non può essere comparata ad altro. Si veniva sterminati per il solo fatto di essere ebrei. Per i nazisti non vi era un “facere” cui conseguiva la condanna a morte (per quanto ingiusta). Era sufficiente un “essere” e non vi era spazio alla decisione della vittima, niente che potesse fare perché il problema era che esisteva. La Shoah è il massacro degli ebrei in quanto ebrei.
Semplice, e inappellabile. Per dirla con Anna Harendt, era la banalità del male.
E’ vero. Il popolo ebraico è risorto da quella morte collettiva esemplificata da Auschwitz ma le tribolazioni non sono finite e ancora oggi lo troviamo – più forte e coeso – al centro di conflitti contro chi lo vuole, ancora oggi, annientare.
Il passato si unisce al presente in un disegno che vede gli ebrei di oggi come quelli di ieri comunque vittima di odio e volontà di distruzione.
Ebbene, proprio a causa di questa continuità tra passato e presente serve ricordare la Shoah. Ma, tale ricordo non può e non deve essere un vuoto tributo al passato, non può risolversi nell’inorridire di fronte alla barbarie nazista, dalla quale crediamo di essere al riparo perché tenuta a distanza di sicurezza dalla Storia.
In altre parole, il Giorno della Memoria non può e non deve essere una commemorazione funebre per tutti quei sei milioni di ebrei che furono massacrati nei campi di sterminio, ma deve servire a monito attuale riguardo l’oggi. Altrimenti, ricordare non serve: né ai morti, né tantomeno ai vivi.
La Shoah è dunque un monito della storia, e il ricordo deve diventare un’occasione di riflessione affinché quella tragedia non si ripeta.
Auschwitz è stato solo il punto finale di un processo, reso possibile da circostanze che non sono uniche, né irripetibili né confinate nel passato: l’antisemitismo, il pregiudizio antiebraico sono forti, oggi quanto ieri. Muta forma ma non sostanza e ci accompagna – ospite indesiderato – anche dopo quel 27 Gennaio 1945.
Proprio per questo, la Memoria oggi non è ricordare, ma prevenire. La Memoria oggi non statico ricordo ma lotta dinamica contro ogni forma di ostilità antiebraica in qualunque modo e con qualsiasi intensità essa si manifesta.
E da questa generazione in avanti, dare un senso dinamico e attualizzante alla Memoria della Shoah sarà ancor più importante. Adesso che i sopravvissuti ai campi di concentramento, dopo una vita spesa nella testimonianza e nell’educazione dei giovani, se ne stanno andando per motivi naturali di età; ora dunque che il ricordo diretto sfuma nelle nebbie del tempo, più che mai la Memoria deve diventare impegno civico, vigilanza, attenzione sull’oggi piuttosto che ricordo di ieri.
La tragica continuità dell’antisemitismo deve richiamare tutti noi alla gioiosa continuità della lotta feroce contro ogni pregiudizio antiebraico. Adesso la responsabilità passa a noi. Non possiamo più rifugiarci dietro le spalle di chi, gigante della storia è divenuto suo malgrado. Dobbiamo raccogliere noi quel testimone: dimostrare che gli ebrei non sono sono un popolo di morti, ma un popolo di vita. Oggi il monito “Zachor” (ricorda) chiama alla responsabilità attuale. Insomma, è inutile commemorare i morti se non si è in grado di difendere i vivi, perché l’ebraismo è una cultura di vita che rifugge la morte. E sarebbe ingiusto confinare gli ebrei esclusivamente nel ricordo di chi non c’è più.
Proprio ai giovani dunque questa giornata è rivolta. Non dimenticate! Non sottovalutate! Non pensate mai che quei fantasmi siano consegnati all’archivio della storia. Essi – i fantasmi dell’estremismo e dell’antisemitismo – aspettano solo un varco, per piccolo che sia, per tornare sullo scenario del presente col loro carico di morte. Oggi – 27 gennaio 2023 – e in futuro, non apriamo quel varco!
(26 gennaio 2023)
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