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Travaglio non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, soprattutto quando in porta c’è Carlo Nordio

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di Vittorio Lussana

La posizione espressa nei giorni scorsi dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, innanzi alle aule parlamentari non merita le sue dimissioni. Si tratta di una visione senz’altro contraddittoria e viziata da pregiudizi, ma nulla che giustifichi la remissione del suo incarico. E c’è ancora tempo per indurre l’anziano ministro a una riflessione nel merito di quanto da lui espresso.

Ma ne ero già accorto dai suoi editoriali su Il Messaggero di Roma, ai tempi del dibattito sul ddl Zan: si tratta di un magistrato ormai piuttosto in là con gli anni, che esprime pareri inattuali, superati dalla realtà stessa. Accanto a una giusta riflessione in merito al nostro Stato di diritto, viziato da una visione puramente formale della cosiddetta presunzione di innocenza, ma nella sostanza strutturato intorno a una concezione inquisitoria del nostro sistema processuale, egli affianca altre convinzioni totalmente infondate, secondo le quali le intercettazioni sarebbero spesso oggetto di manipolazioni continue da parte degli organi inquirenti. Considerazioni ben lontane dalla realtà dei fatti, perché anche quando sono state diffuse notizie private penalmente non rilevanti, ciò è accaduto perché la legge consentiva al magistrato di depositarle agli atti insieme a quelle di interesse penale, rendendole pubbliche di fatto. In buona sostanza, è la procedura stessa che ha consentito le distorsioni e gli abusi del passato: raramente si è trattato di azioni tese a condizionare l’opinione pubblica o a pilotare i processi.

Altre stravaganti idee dell’ex magistrato Nordio sono, da sempre, pure leggende metropolitane. Come quelle sui cosiddetti professionisti dell’antimafia: senza lo sforzo d’indagine di quel particolare nucleo di professionisti, noi non avremmo scoperto niente in passato, lasciando totalmente campo libero all’omertà e alle più assurde subculture dell’onore. Quelle che isolarono e condannarono il giovane magistrato cattolico Rosario Livatino, tanti per intenderci. Si tratta di sciocchezze che circolano sin dai tempi della fiction televisiva La piovra, interpretata da Michele Placido: gli italiani non dovrebbero vedere certe opere artistiche, perché esse arrecano danno all’immagine dell’Italia nel mondo. Una posizione normalmente conservatrice, tendente a nascondere la polvere sotto al tappeto: il magistrato deve indagare in silenzio e l’opinione pubblica non deve sapere minimamente cosa succede. Una posizione funzionale all’isolamento della Magistratura medesima, la quale dovrebbe occuparsi solamente dei ladri di polli.

Il cinema, il teatro e persino la letteratura, insomma, non devono occuparsi di cercare notizie e di indagare sostituendosi agli altri. Una convinzione assolutamente falsa, poiché il giornalismo investigativo, anche quello di registi, drammaturghi e autori in generale, incontra il proprio limite, qui da noi, proprio nel momento in cui rischia di sostituirsi alle forze di polizia, provocando appositamente determinati fatti per essere già sul posto quando si verificano gli arresti. In pratica, secondo questa vecchia tesi, registi, cineasti, giornalisti televisivi e tutte le altre professioni dedicate all’approfondimento delle notizie, non dovrebbero occuparsi di far sapere all’opinione pubblica come vengono svolte – o non svolte – certe indagini. Nemmeno con ricostruzioni di fantasia, o con ipotesi facenti riferimento a persone e fatti puramente casuali. In pratica, noi dovremmo andare al cinema solamente per vedere quattro buffoni che corrono dietro alla bella del momento, al fine di evadere e distrarci dalla nostra routine quotidiana: la solita tesi piccolo borghese dei moderati, che reclamano a gran voce una produzione artistica più leggera. O al massimo, una comicità composta da una carrellata di maschere noiose e inopportune, stracariche di volgarità: ce li meritiamo i cinepanettoni

Questo modo di vedere le cose è ormai datato nel tempo, ma recentemente è stato riproposta dal film Lo sciacallo di Dan Gilroy, che narra le vicende di uno pseudo-giornalista senza scrupoli, che arriva al punto di eliminare la concorrenza causando incidenti ai colleghi, o addirittura provocando gli agguati tra le diverse bande di delinquenti, al solo fine di produrre immagini in esclusiva. In realtà, Dan Gilroy non intendeva affatto denunciare un giornalismo d’assalto totalmente privo di principi, bensì la tesi opposta: la mancanza, negli Stati Uniti, di un organo terzo di controllo deontologico delle professioni. Non accusa affatto il giornalismo televisivo di interferire con magistrati, organi inquirenti e forze di polizia, ma lascia intendere come gli Usa siano ancora nel Medioevo. Eppure, c’è chi vede la società americana come quella più avanzata del mondo occidentale, proponendo il quel modello in quanto non regolato da leggi e leggine, con minori vincoli di controllo. Insomma, è la tesi dello Stato leggero: poche norme, ma accettate da tutti.

E’ sbagliato estrarre di peso il sistema altrui. Soprattutto, quando i nostri problemi sono ben distinti da quelli degli americani. Senza gli Ordini professionali, noi sprofonderemmo nel caos delle marchette. E non saremmo più tenuti a stabilire alcun confine etico nel distinguere l’informazione dall’intrattenimento e dalla comunicazione pubblicitaria. Che era esattamente la visione del berlusconismo negli anni ’90 del secolo scorso e che gli italiani non hanno voluto accettare, accusando la sinistra di essere bacchettona e moralista. Senza sapere che, anche negli Stati Uniti, la posizione cosiddetta puritana già da tempo viene considerata obsoleta, poiché condanna ogni azione solamente a parole, consentendole altresì di imporsi materialmente nella realtà di ogni giorno. Un po’ come quei vescovi che ammettono l’omosessualità e le politiche in difesa delle minoranze lgbtq a patto che non vengano sancite nuove forme di libertà pubbliche, o alla luce del sole.

Ovvero, esattamente la tesi che Carlo Nordio ha professato in merito al ddl Zan: è esattamente questa convinzione, che intendo fargli rimangiare.

Gli ipocriti che accusano gli ipocriti. Sapete come si chiama tale fattispecie kafkiana? Dissimulazione. Ovvero, la destra che attacca la sinistra per difendersi e nascondere le proprie inefficienze. Inefficienze spesso mantenute appositamente, perché funzionali a giustificare il formalismo più vuoto. Il ministro Nordio crede veramente che la politica non debba essere “supina al potere giudiziario”. Ma è una visione totalmente campata per aria nella maggior parte dei casi, visto che è la politica ad attaccare la magistratura per poterle rimettere il guinzaglio. Consentendo arbitrariamente alla politica di poterla sostituire, come nel caso del ddl Zan.

Insomma, caro Marco Travaglio: lascialo stare l’ex magistrato in pensione, Carlo Nordio. Non vi impiccate in una campagna di stampa contro di lui: a destra era il meglio che avevano, per il ministero di via Arenula. Figuriamoci gli altri…

 

 

(20 gennaio 2023)

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