di Massimo Mastruzzo*
Il ricco che spiega al povero come sia giusto che lui trattenga più soldi; il sazio che spiega al digiuno come sia normale che lui abbia più cibo a disposizione.
Questa in sintesi la missione che Calderoli ha intrapreso presso i presidenti delle Regioni del Sud (povero o digiuno fate voi). Una missione che vede sempre gli stessi interpreti: Ministri e governatori del nord, meglio se leghisti, che si applicano a spiegare come l’autonomia differenziata, voluta da loro, sia un’opportunità anche per le regioni del Sud Italia.
Nel 2019, nel pressoché totale disinteresse generale ci provò l’allora ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie del Governo Conte, la leghista, oltreché veneta, Erika Stefani, che portò in Consiglio dei Ministri le intese che conferivano una maggiore autonomia ad alcune Regioni. Autonomia che per le regioni del nord che l’hanno chiesta, ha un contenuto prevalentemente economico: trattenere il cosiddetto residuo fiscale nella misura di 9/10 dei tributi riscossi. Poi toccò alla simil-leghista Mariastella Gelmini, oggi nel terzo polo del duo Renzi-Calenda, ma che allora, da esponente di Forza Italia e ministra degli Affari regionali del governo Draghi, presentò un DDL per l’autonomia differenziata con riunioni tra soli beneficiari, i presidenti delle Regioni del Nord, escludendo dagli incontri i presidenti delle Regioni del Sud. Un’azione gravissima perché il testo della Gelmini non solo escludeva i vari Occhiuto, De Luca, Emiliano (oggi cercati da Calderoli) ma metteva totalmente a tacere tutto il Parlamento, ovvero tutti i rappresentanti dei cittadini del Mezzogiorno, vittime predestinate dell’autonomia differenziata, in quanto sarebbe stata solo una “bicamerale” sulle questioni regionali a dare un parere sulle intese avanzate dalle Regioni, mentre l’aula si sarebbe limiterà a votare sì o no, a maggioranza assoluta, il disegno di legge in cui sarebbe stato trasformato lo schema di intesa tra la singola regione e il governo.
Adesso è sceso in campo il top player, il ministro per gli affari regionali e le autonomie del Governo Meloni, Roberto Calderoli che dopo l’ennesimo tentativo di bypassare il Parlamento, oltre al mancato confronto in Conferenza Stato-Regioni, è partito in un tour che prevede di incontrare i presidenti delle Regioni del Sud. Questo però dopo aver depositato a Palazzo Chigi il suo testo sull’Autonomia, una legge quadro (co-autore della legge Luca Zaia) per le intese fra Stato e territori che di fatto è un grande regalo al Nord, tanto che a scandalizzarsi è stato perfino Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna che insieme a Lombardia e Veneto ha promosso il percorso verso l’autonomia differenziata.
Una commissione governativa definirà entro 12 mesi i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che la Costituzione come riformata nel 2001 prevede siano rispettati su tutto il territorio nazionale: una volta definiti vengono emanati via Dpcm e quindi poi si stabilisce anche quali funzioni non prevedono i Lep, il Parlamento neanche ci mette bocca. La legge quadro va alle Camere, che devono approvarla: se lo fanno in questa modalità sarà però l’ultima volta che parlano. Dopo, infatti, le singole intese sulle 23 materie citate, vengono contrattate tra governo e giunte regionali, che possono anche non tener conto del parere di Conferenza Unificata e Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Se ci sono in ballo i Lep (badate bene alla fregatura) il trasferimento di funzioni, fondi e personale può essere fatto solo dopo la loro definizione, per il resto si può procedere appena approvata la legge quadro. La definizione, però, non è la loro attuazione e nemmeno il loro finanziamento, ma Calderoli ha fretta: e infatti “fino alla determinazione dei costi e fabbisogni standard” si usa la spesa storica, (spesa storica= inchiappettamento) definita “fissa e ricorrente”, che com’è noto favorisce il Nord.
*Direttivo nazionale
Movimento Equità Territoriale
(3 gennaio 2023)
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