di Isabella Grassi
Partendo da dati numerici è vero che le donne sono più istruite degli uomini infatti “il livello di istruzione femminile rimane sensibilmente più alto di quello maschile. Le donne che hanno raggiunto il titolo di studi di scuola superiore sono il 65,1%, mentre gli uomini raggiungono il 60,5%, una differenza ancora più evidente se comparata con la media europea (lo scarto è di quasi un punto percentuale). Tenendo conto il possesso di una laurea, le donne sono al 23% e gli uomini al 17,2%. Il vantaggio femminile si nota anche fuori dai confini italiani: cinque straniere su dieci possiedono almeno il diploma contro quattro uomini su dieci, il 14,3% di queste è laureato contro l’8,3% degli uomini.”
Ma è anche vero che Nonostante il numero assoluto di nati vivi sia in diminuzione nell’UE, il numero di nati vivi per donna è aumentato durante il periodo 2001-2019. Se si fa infatti una veloce ricerca non è difficile scoprire come nonostante l’età delle donne alla nascita del primo figlio sia in aumento e sia ora pari a 29,4 anni ciò nonostante il numero di nati vivi per donna è aumentato durante il periodo 2001-2019. È cresciuto da 1,43 nati vivi per donna nel 2001 a 1,57 nel 2008-2010, per poi diminuire leggermente a 1,51 nel 2013, prima di un modesto rimbalzo fino a 1,57 nel 2016, per toccare 1,53 nel 2019.
Questi primi due dati se letti insieme sono concordanti: le donne studiano e fanno figli in età più avanzata, ma non è vero che è questa la ragione per cui ne fanno meno, visto che il trend pro capite di nascite è aumentato.
La situazione attuale evidenzia come Le immatricolazioni ai corsi di primo livello − come anche la totalità delle iscrizioni universitarie − presentano una preponderante presenza femminile nel gruppo dell’Insegnamento.
Se si prosegue l’analisi si vede allora come nei corsi di laurea a ciclo unico, presenti solo in alcuni gruppi di laurea, raccolgono il 50,1 per cento delle immatricolazioni nel solo gruppo giuridico e il 33,6 per cento nel gruppo medico-sanitario e farmaceutico; la presenza femminile è in entrambi di circa due terzi.
Verrebbe quindi da chiedersi quale sia la ragione che porta le donne a studiare di più e se la scelta sia una scelta dettata dall’aspetto economico.
Da una recente indagine de Il sole 24 ore è emerso in realtà che “secondo l’ultimo rapporto di Adepp, nel 2020 la differenza di reddito fra professionisti e professionisti è stata pari a circa il 55%, che significa che fatto 100 il reddito degli uomini, quello delle donne è stato di 45. Una differenza di reddito persistente per tutte le fasce d’età incluse le giovanissime. Fra i 20-30 enni le donne hanno dichiarato 13.074 euro annui, gli uomini 15.278 euro, in media: differenze minime e che più di tutto ci dicono che i giovani anche professionisti faticano molto a crearsi un reddito che permetta loro di essere indipendenti. Ben più interessante è il gap fra professioniste e professionisti in età “da famiglia”: fra i 30 e i 40 anni le donne dichiarano 18 mila euro annui, gli uomini 28 mila. Fra i 40 e i 50 anni le donne 26 mila e gli uomini 44 mila. Fra i 50 e i 60 anni le donne 34 mila e gli uomini 58 mila.”
Se analizziamo in particolare i dati relativi alla professione forense, scopriamo come nonostante l’altra presenza femminile nella facoltà di giurisprudenza che supera quella maschile in realtà ad oggi “la percentuale degli uomini (52,36%) oltrepassa quello delle donne (47,64%) nella sezione degli avvocati del libero foro, ma il delta è ancora più evidente per la sezione dei professori universitari (56,79% contro 43, 21%) e per i legali stabiliti (59,09% contro 40,91%). Nelle quattro sezioni dell’albo nazionale, la variazione percentuale rispetto ai dati del maggio 2021 è negativa e si attesta al -2.07%.” Se questi sono i dati relativi all’albo nazionale degli avvocati, alquanto significativo è invece quello relativo al Registro dei Praticanti, che è lo step iniziale laddove approdano i neolaureati e le neolaureate che vogliono addentrarsi nel mondo forense. Qui “il numero delle donne iscritte supera di gran lunga quello dei maschi (60,69% contro 39,68%), mentre il totale nazionale scende del -1,87%. Per gli abilitati il delta è negativo pari al -12,02%.”
Da una analisi puramente improntata su dati reali e concreti emerge pertanto che le donne studiano di più, ma il mondo del lavoro già difficile per tutti le porta in realtà a pensare alla creazione della famiglia in età più avanzata, ma non si ravvisano elementi tali da imputare alla sola maggiore istruzione il trend negativo della nascite.
In realtà è più facile attribuire tale indice non alla maggiore scolarizzazione ma al basso reddito non solo delle donne ma anche degli uomini e non solo di quelli laureati.
Ecco che il “Troppe donne all’Università, un rischio per i maschi e la natalità”. Appare non solo come uno slogan inutilmente arrogante e portatore d’odio ma anche privo di alcun contenuto statistico o numerico e che in realtà nasconda l’incapacità dei governi (non solo quello ungherese) di attuare delle politiche concrete a sostegno della istruzione, del lavoro e della famiglia,
Utilizzo non a caso il concetto di famiglia e non quello di natalità perché è ora che venga chiarito tale istituto giuridico che è posto alla base anche delle adozioni, degli affidi familiari.
Non si può e non si deve passare nel dimenticatoio che i figli non sono solo quelli nati all’interno di una coppia di genitori ma anche quelli adottati, affidati e che una famiglia può essere anche monogenitoriale o che il concetto di bigenitorialità possa non essere quello tradizionale.
Sono argomenti scottanti e che dovrebbero essere affrontati in maniera costruttiva sia dalla sinistra che dalla destra che dal “fantomatico” terzo polo.
E’ ora che si prenda atto che “la società” è in evoluzione e che il mattone sociale “famiglia” è cambiato.
Anticamente si usava esporre il “mattone” di riferimento per la costruzione degli edifici, misura alla quale bisognava uniformarsi.
Ora è tempo di rivedere il mattone famiglia, e declinare una nuova società, dove vi sia una istruzione che prescinda dal sesso dello studente, un lavoro in senso costituzionale tale per cui “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” così da avere e costruire una società consapevole e moderna.
E’ ora di smetterla di pensare al genere uomo/donna come elementi antagonisti ed è giunto il momento di annullare sia il femminismo che il maschilismo e di pensare al genere umano.
(29 agosto 2022)
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