di Lorenza Morello
“I had a dream last night”, ho sognato un mondo in cui le persone e i corpi vengono rispettati come valore universale in sé, a prescindere dal colore, le fattezze, il genere e le condizioni sociali. Ma il risveglio è stato brusco, mi sono infatti svegliata in un mondo che con la stessa naturalezza con cui parla di uteri in affitto, nega l’aborto. In altre parole, permette che si mercifichi la vita e il corpo delle donne e al contempo però, dopo aver avallato quello che altro non può essere definito come un atto di infima arroganza della specie umana, vieta il diritto della donna ad abortire. Perché se da una parte la politica deve garantire con l’utero in affitto tutta una base elettorale ed una corrente di pensiero, dall’altra però la stessa politica cerchiobottista vuole anche salvaguardare gli oscurantisti che continuano a negare che i diritti delle donne siano diritti umani. In altre parole: una donna può mettere il proprio corpo in vendita perché “È il mercato, bellezza” ma se quella stessa donna, vittima di una violenza, o per mille altre ragioni personali e insindacabili, ha la consapevolezza di non poter portare a termine quella gravidanza, ecco che la sua potestà di autodeterminazione viene negata e rispedita al mittente.
Si dirà “Leggi degli uomini che gravano sul corpo delle donne”. Ahimè, il problema non è solo quello. Prendiamo il caso -purtroppo non isolato – “bambina di 11 anni” rimasta incinta dopo uno stupro a cui è stato negato l’aborto.
Non solo negli Stati Uniti, ma anche in Brasile.
Questa sentenza agghiacciante è stata decisa da una giudice donna, Joana Ribeiro Zimmer, che ha non ha accolto la richiesta della famiglia di procedere all’interruzione di gravidanza della bimba.
In Brasile l’aborto è vietato, salvo nei casi di violenza sessuale e pericolo di vita della madre, ma nonostante ciò, questa giudice ha comunque negato questo diritto ad una bambina di 11 anni.
La bambina ha ripetuto più volte di non voler portare a termine la gravidanza, ma la giudice le chiedeva se comprendesse l’origine della gravidanza, riferendosi allo stupratore come al “padre del bambino” e invitandola a “resistere ancora un po’” per salvare il bambino, suggerendole anche di scegliergli un nome. Uno scenario che solo a descriverlo fa accapponare la pelle.
La bambina aveva solo 10 anni quando è stata abusata, e si ritiene che il colpevole sia il patrigno di 35 anni. La madre si è accorta che fosse incinta alla 22esima settimana. L’ha portata immediatamente in ospedale perché la gravidanza fosse interrotta, i medici però hanno risposto di non poterlo fare dopo la ventesima settimana, ma la legge non impone un limite nei casi di stupro o quando la vita della donna è in pericolo. Hanno portato il caso in tribunale nel giro di pochi giorni, dove la giudice Zimmer non solo ha rifiutato di consentire l’Ivg, ma ha anche tolto la bambina alla famiglia, isolandola in una casa d’accoglienza. E purtroppo non per proteggerla dal patrigno. Un altro giudice dello stesso tribunale l’ha infatti rimandata a casa, ma senza darle l’autorizzazione ad abortire.
Il Ministero pubblico federale del Brasile ha emesso una raccomandazione affinché si eseguisse l’aborto, ma il personale medico si è rifiutato, sostenendo che la gravidanza aveva già superato la ventiduesima settimana.
L’opinione pubblica del Brasile, Paese molto cattolico, si è spaccata in due ed ha riaperto l’importanza del diritto all’aborto che è fortemente limitato.
Alla fine, fortunatamente, dopo le numerose proteste di associazioni per i diritti umani, le hanno concesso di abortire, al settimo mese e dopo settimane di paura, rabbia, angoscia e frustrazione.
Il diritto all’aborto è diritto alla vita, la vita di quelle donne – anche bambine, come in questo caso – che hanno il diritto di essere protette da gravidanze indesiderate, che hanno il diritto di non vedersi rovinare la propria vita, subendo oltre al trauma dello stupro, anche l’ulteriore trauma di una evento totalizzante, che ha il potere di cambiare per sempre la vita, come quello di una gravidanza.
Ecco perché il diritto all’aborto è un diritto fondamentale, che va tutelato come qualsiasi altro diritto umano, e nessuno dovrebbe mai obbligare nessuna donna a portare a termine una gravidanza senza la sua volontà.
(1 luglio 2022)
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