di Daniele Santi
Lilli Gruber invita Giuseppe Conte a Otto e mezzo e lui ci va. Aggressiva e determinata quanto basta, assistita dal magnanimo Antonio Padellaro che è chiaramente lì per rendere la vita più facile all’ex-presidente del Consiglio, inanella una serie di domande ben calibrate, utili a cercare di capire cosa è successo nel M5S, ma Conte non risponde.
O meglio, risponde, ma in modalità contiana: non dice niente, quel niente lo dice nascondendo qualcos’altro, tira fuori una cosa, anche se la domanda era un’altra, dice di Grillo, dice di Di Maio, dice il solito “non faremo mancare il nostro appoggio al governo” che fa tanto statista, ma non significa nulla, né in politichese né in termini attivi. Insomma, si chiude la trasmissione senza che si sia capito un’accidente se non che non l’hanno presa bene e nemmeno sono in grado di darsi una spiegazione.
Conte riesce a dire però che dal discorso di Di Maio non ha capito né l’essenza politica della sua uscita dal grillismo, a noi è sembrato chiarissimo, né dove voglia andare. E anche lì noi crediamo di averlo capito bene e il futuro sarà lì a confermarlo. Perché Di Maio l’ha giocata pesante: non solo si è portato via 61 tra senatori e deputati ma anche, a cinquantamila euro di rimborsi annuali a cranio, qualcosa come 2,5 milioni di euro che verranno a mancare dalle casse Movimento fondato dal Grillo l’Elevato. Questo Conte non lo ha detto. Perché è un signore e anche perché è apparso politicamente confuso e umanamente ferito e quella Gruber lì, a fargli domande come se fosse obbligato a rispondere – e se accetti di andare in televisione per rispondere a domande poi alle domande devi rispondere.
Nemmeno ha spiegato, Conte, e ci sarebbe piaciuto come mai i grillini urlanti brandivano cartelli contro la guerra e contro l’invio di armi e poi hanno votato in massa a favore del decreto pro Kyiv. Che è un altro dei misteri del M5S come quella volta, ricorderete, che volevano la legge sulle unioni civili a tutti i costi e poi al momento di votarla dissero di no perché non potevano lasciare che Renzi le portasse a casa costringendo ad un accordo improvviso con Alfano che ridusse la legge a poco più di una presa in giro. I grillini sono quella cosa lì, sono il perdona loro perché non sanno quello che fanno. Trecentotrentatré ne hanno messi in Parlamento nel 2018. Mica uno…
In realtà qualcosa Conte ha detto: “Di Maio non deve permettersi di screditare il Movimento”. E tocca dargli ragione, a Conte: capaci come sono di screditarsi da soli non c’è nessun bisogno di interventi esterni.
(23 giugno 2022)
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