di Vittorio Lussana
La visita di Mario Draghi negli Stati Uniti ha rivelato la solidità professionale, culturale e persino umana del nostro attuale presidente del Consiglio. Eppure, c’è tutta una parte di politica italiana, quella ovviamente più populista, che in questi giorni sta rosicando per la dimostrata statura. Non si creda che si tratti di qualcosa di strano: anche se si fosse trattato di Giuseppe Conte o di altri, noi ci saremmo ritrovati costretti a dover difendere il premier di turno dai giudizi malevoli di alcuni e dall’ignavia moralista di altri. Perché gli italiani sono trasversalmente così.
C’è un gap, una lacuna di maturità democratica evidente nel popolo italiano. Si tratta di un qualcosa di antropologicamente irrimediabile: una forma di infantilismo politico arrogante e crapulone. Alla fine, conta poco essere di destra o di sinistra: del proprio prossimo, si invidiano anche le pisciate. Sono tratti che hanno sempre fatto parte nella nostra conformazione identitaria: c’è chi ne è consapevole e cerca di stare alla larga da certe dissociazioni; e c’è chi, invece, ci vive dentro da sempre, prigioniero di una strana camicia di forza che nessuno gli ha mai ordinato di indossare.
Mario Draghi è soprattutto un esperto di economia finanziaria, questo è vero. E nell’attuale congiuntura dettata dalla guerra russo-ucraina, egli ha dovuto colmare un deficit, una mancanza di formazione, perché gli esami, nella vita, non finiscono mai. Non era la sua materia, ma in breve tempo ha recuperato e ha saputo farsi trovare pronto, offrendo il proprio contributo all’alleato americano. Il quale, ha finalmente compreso il punto relativo al tipo di pace che s’intende raggiungere in Europa orientale e che, speriamo, si possa presto cominciare a prefigurare. Pretendere una pace genericamente intesa, come reclamato da molti in questi mesi, anche e soprattutto a sinistra, è stato un classico moto di paura. Un sentimento comprensibile, che tuttavia non può essere l’unico movente da cui prendere le mosse nelle decisioni di tutti i giorni. In questo, destra e sinistra si sono sempre assomigliate: decidono di muoversi solamente quando si ritrovano con le spalle al muro, o innanzi a una situazione già degenerata da tempo.
Al contrario, chi è dotato di autentica razionalità politica ha potuto osservare come il mondo occidentale abbia dimostrato un certo grado di compattezza, scommettendo sulla capacità di resistenza e di resilienza del popolo ucraino: solo alcune zucche vuote, tipo Viktor Orbán e pochi altri, hanno assunto una posizione pilatesca. Un tratto di ignavia che, in realtà, deriva da una chiara arretratezza subculturale in merito alla quale, anche a sinistra, bisognerebbe cominciare a riflettere. La vicenda ucraina è una buona cartina di tornasole, se gli italiani volessero comprendere veramente cosa è successo e quale quale tipo di colonna vertebrale è stata dimostrata, sia da parte dell’Europa, sia dalla parte più sana del nostro Paese.
Il moralismo e l’ignavia derivano dal non rendersi conto di essere prigionieri di un provvidenzialismo giudicante, che da un lato incatena all’arroganza monocorde, dall’altro dimostra una evidente mancanza d’identità. Siamo cioè di fronte alla solita contrapposizione polarizzata tra moralismo e viltà, che spesso si sovrappongono. Il moralismo di sinistra è figlio di una cultura puramente contemplativa; la viltà, invece, discende da quella vecchia Italietta da caserma da sempre abituata a imboscarsi e a delegare ad altri il risolvimento concreto di un problema qualsiasi.
E’ la solita, antica, contrapposizione tra ipocriti e canaglie, in fondo: cattolici i primi, fascisti i secondi. E quando queste due forme di qualunquismo s’incontrano tra loro, creano minestroni assai indigesti. Ha perfettamente ragione il professor Burioni: più di 7 milioni di italiani hanno rifiutato – e rifiutano ancora oggi – di vaccinarsi: un vero e proprio mistero antropologico-culturale. Un intero pezzo d’Italia che non meriterebbe nulla e che si ritrova protetto da una specie di strano Dio dei buffoni. E questa sì che è una vera dannazione, poiché spesso tale accozzaglia genera veri e propri danni. Come dimostrato, in quel di Rimini, da alcuni sgradevoli molestatori, che rischiano di rovinare per sempre l’immagine di un corpo militare, quello degli alpini, storicamente connotato da un grande spirito di sacrificio.
Governare gli italiani non è difficile: è semplicemente inutile. Essi non sanno far altro che immaginare la loro formazione della nazionale, sostituendosi al commissario tecnico di turno. Perché è proprio l’ignavia a generare certe contraddizioni. Come quella sottolineata, una volta, da Winston Churchill, che aveva capito veramente tutto di noi: “Gli italiani affrontano una partita di calcio come fosse una guerra; e vanno in guerra come se fosse una partita di calcio”.
Quando si è tondi non si può diventare quadrati: inutile illudersi su questo. Tuttavia, almeno evitare di rompere i coglioni al prossimo, sarebbe cosa gradita, anziché imporre vuoti propagandismi o cinici fatalismi.
(12 maggio 2022)
©gaiaitalia.com 2022 – diritti riservati, riproduzione vietata
Iscrivetevi alla nostra newsletter (saremo molto rispettosi, non più di due invii al mese)