di Luca Venneri
Anche quest’anno il primo maggio si chiude con tutte le sue manifestazioni, dichiarazioni e concerti. È un momento dove riflettiamo e possiamo mettere al centro il tema del lavoro. Quel lavoro che domina nella nostra Costituzione al suo primo articolo.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
Prende il nome di principio lavorista e dall’articolo uno di propaga in tutta la nostra Costituzione. Affermare che questo principio sia solo l’affermazione al diritto di avere un lavoro è quantomeno riduttivo. Perché metterlo al primo articolo? Perché offrigli la posizione di architrave imprescindibile – connettendo al più importante affermazione costituzionale come la forma con cui costruiamo lo stato, la repubblica appunto?
Se da un lato questo principio è la chiara affermazione che la repubblica – lo stato – regola i rapporti di lavoro, dall’altra, afferma che la nostra società è basata sul lavoro che tutti quanti noi facciamo e al contributo che noi diamo in ordine economico ma, anche, “spirituale o materiale”. In questo senso il lavoro è la forza motrice della repubblica, il contributo al progresso della ‘cosa pubblica’ e della società (art. 4, comma 2, Cost. ita.).
Noi con il nostro lavoro concorriamo al progresso del paese. Questo è un principio, un dovere costituzionale che non può essere letto senza il supporto di un altro principio, quello dalla pari dignità sociale (art. 3, Cost. ita.). La dignità sociale è affermata sia come principio formale che nella sua sostanza quando si dice che la repubblica “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, ma anche quando si afferma che ognuno deve contribuire secondo le proprie possibilità e scelte.
La dignità ritorna prepotente nell’articolo 36 dove i nostri padri costituenti affermano che il lavoro deve dare luogo a una retribuzione che possa garantire libertà e dignità.
Quando parliamo del primo di maggio tutta la discussione pubblica si sofferma sul diritto ad avere un lavoro e a quanto la retribuzione sia bassa rispetto ai costi – che tutti quanti noi sosteniamo ogni giorno. Sono di certo temi molto importanti ma non possiamo ignorare quanto oggi, sempre di più, il lavoro diventa centrale e pervade la nostra vita anche fuori dall’orario di lavoro. Proviamo a pensare alle chat di whatsapp di lavoro, alle mail che arrivano nelle ore più improbabili del giorno e della notte.
Lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare? Perché trovo che sempre di più il punto si sta spostando verso il vivere per lavorare. Mentre da un lato le retribuzioni perdono il rapporto prescritto in costituzione tra quantità e qualità sempre di più – dall’altro – pervade e si insinua nel resto del nostro vissuto non permettendo, il più delle volte, a staccare veramente dal lavoro. Sindrome dell’incapacità di staccare dal lavoro, stress da lavoro correlato e via discorrendo sono in continua salita e – dobbiamo ammetterlo – il quadro normativo è fragile perché, in estrema sintesi, questo è il lavoro moderno, quello mainstream, h24, 7 giorni su 7 dove l’efficienza è calcolata nella misura in cui si riesce a essere costantemente aggiornati su quello che succede, momento su momento, istante per istante.
Avremmo bisogno di trovare nuove soluzioni, qualcosa che riporti l’equilibrio tra qualità e quantità. Serve di più. Trovo che la discussione pubblica sul lavoro manchi di soluzioni innovative che rafforzino – con nuovo vigore – i pregevoli principi costituzionali. Forse dovremmo ricominciare da dove ci siamo lasciati 20 anni fa. Proseguire con la lotta sulle 35 ore/settinana, ormai persa nel dimenticatoio e solo chi possiede il pensatore di Silente può rievocare alla memoria. Di studi sulle 35 ore in Italia ce ne sono molti e, anche, di molto articolati ma permettetemi di affermare che lavorare 35 ore ed avere lo stesso stipendio che tutti quanti noi oggi percepiamo lavorando 40 ore è possibile.
In questo modo tutti quanti noi guadagneremo l’8,75% in più, percentuale riassorbita interamente da una minore base contributiva. Alla fine l’importante è quello di garantire il pagamento delle pensioni – il totale contributivo – che verrebbe compensato con i lavoratori che questo formula ammetterebbe nel mercato.
Ricapitolando, le 35 ore – oggi – potrebbero essere una buona soluzione che permettere al sistema pensionistico di reggere, garantirebbe una maggiore offerta di lavoro e permettere a tutti quanti noi – insieme a una più rigida normativa specifica – a staccare di più, vivere meglio e riequilibrare i ritmi vita-lavoro.
Il primo maggio dovremmo rinnovare il nostro sforzo per una migliore qualità del lavoro e sanare tutte le brutture, contraddizioni e controsensi.
Quanti infortuni eviteremmo se le persone potessero lavorare di meno e riposare di più?
Forse ignoriamo che la maggior parte degli infortuni e morti sul lavoro sono per disattenzione, oltre che per violazione sulle norme sulla sicurezza, che – la maggior parte delle volte – viene operata per fare di più e più in fretta.
E voi, cosa fareste con 5 ore in più a settimana?
Pensiamoci.
(2 maggio 2022)
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