di Paolo M. Minciotti
L’ultimo articolo “da social” del giovane giornalista rampante commentava via Twitter un pezzo di Marco Travaglio che “asfaltava” Renzi, dimenticandosi di tutte le volte che Travaglio è stato “asfaltato” e che attribuire a un direttore la capacità di “asfaltare” non è proprio celebrarne la gloria imperitura. Non che il giornalista rampante che usa il termine “asfaltare” via social taggando in diversi modi l’asfaltatore suoni come un grande comunicatore, piuttosto sembra che stia cercando disperatamente lavoro e non trovi di meglio che adulare l’idolo di turno. Son tempi duri, si comprende tutto.
Un giornalista, Travaglio lo sa, non asfalta nessuno. Dà la sua opinione proprio come fa lui, l’asfaltatore o presunto tale, che articola, descrive, giustifica, si riferisce, cita ma non cita, poi a volte sbaglia pure lui, ma non lo fa mai gratis, perché lui – Travaglio – anche se fa finta di essere superficiale e leggero in realtà conosce a menadito il mestiere che esercita e infatti in moltissimi casi il verbo asfaltare lo fa usare agli altri che del mestiere conoscono meno e sono disposti ad esporsi al fuoco, quello che brucia le ali. Chiedano a Icaro, nel caso.
Così eccoci a consigliare meno piaggeria, meno leccaculismo e più mestiere, anche nell’eventualmente ritenuto necessario leccaculismo via social che un po’ di fastidio deve darlo anche all’oggetto di tanto profondo amore. Al Travaglio nazionale, non siamo maib d’accordo con lui, ma questo è il bello, bisogna riconoscere di sapere scrivere e sapere dirigere un giornale prima di dargli dell’asfaltatore che, in questa luce, potrebbe essere anche poco carino.
(19 aprile 2022)
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